Che cosa ci insegna la vicenda di Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca Etruria, Banca Marche e Carichieti, le quattro banche “salvate” dal decreto del governo che però ha penalizzato circa 125mila tra azionisti e possessori di obbligazioni subordinate? Gli italiani stanno aprendo gli occhi sulla banca come totem? Istituzione quasi “di famiglia”, o comunque legata al territorio?
«Il risparmiatore deve prendere coscienza che la banca è un ente necessario ma che di sicuro nel suo operato si profila il conflitto di interesse». A parlare è Stefano Monaldo, vent’anni di esperienza come promotore finanziario a Roma. I primi dieci ha lavorato come consulente presso un istituto bancario – quindi sa come funzionano i prodotti interni degli istituti – , gli ultimi dieci invece come consulente indipendente per la Solfin, una delle prime società in Italia di questo tipo, nata nel 1998.
Cosa significa conflitto di interesse?
Gli interessi della banca confliggono con quelli del cliente. La banca è un ente commerciale a fine di lucro, e deve fare i suoi interessi. Con la propria attività cerca di portare il bilancio in utile, o come nel caso delle quattro banche, deve ripatrimonializzare per risolvere i problemi di gestione interna. Poi ci sono gli interessi del cliente stesso, ma se non se li tutela da solo, può accadere che la banca non lo faccia, come è avvenuto adesso. Il problema è che spesso il cliente non ha gli strumenti conoscitivi per tutelarsi. Va anche detto che in Italia non esiste cultura finanziaria e che magari prevale il rapporto di fiducia piuttosto che la conoscenza delle norme. Per cui si conosce il direttore oppure c’è un amico che lavora in quella banca e allora si accetta tutto. Infine, c’è anche l’interesse privato del dipendente che può essere spinto a vendere quei prodotti per avere un incentivo.
Come fa il cliente a tutelarsi?
Ci sarebbe la normativa che deriva dalla direttiva europea del 2004 Mifid (Markets in financial instruments directive), recepita in Italia nel 2007. La direttiva Mifid a livello comunitario cerca di riorganizzare tutta la normativa a disciplina del settore bancario e degli investimenti e cerca di aumentare le tutele nei confronti del risparmiatore. Da qui è nato il questionario in base al quale si deve valutare l’appropriatezza e l’adeguatezza del cliente rispetto agli investimenti che va a sottoscrivere.
C’è chi ha fatto notare, come il giornalista del Sole24ore Moyra Longo questa mattina su Radio Tre che i rendimenti delle obbligazioni non erano altissimi e quindi i risparmiatori non si sono nemmeno potuti allertare sul rischio che correvano.
Il rendimento di un titolo è legato al tempo (durata) e alla rischiosità dell’emittente. Un’obbligazione è un investimento a capitale garantito perché c’è un prestito che un investitore fa a una banca, a uno Stato a una società, a fronte del quale riceve un interesse periodico e alla scadenza riceve il rimborso. La garanzia del capitale però non è assoluta, è dovuta a chi si prestano i soldi e il rendimento legato a questo titolo deve essere tanto più elevato quanto maggiore è il rischio dell’ente a cui si prestano soldi. Spesso le banche che hanno un rating inferiore allo Stato italiano emettono obbligazioni con rendimenti pari o inferiori a quelli dei titoli di Stato e quindi, è vero, non pagano correttamente il rischio. E sì, questo può creare confusione.
In molti adesso fanno il paragone con la Germania. Là lo Stato intervenne a salvare le banche.
Sì, mentre l’Italia, escluso il salvataggio del Monte dei Paschi, non è mai intervenuta, la Germania ha speso centinaia di miliardi per salvare le proprie banche. Solo che adesso è intervenuta la normativa europea con il cosiddetti bail-in , salvataggio interno. La direttiva Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive), che entrerà in vigore il 1° gennaio 2016, stabilisce che una banca in difficoltà si deve arrangiare da sola. A pagare saranno prima gli azionisti, poi a cascata gli obbligazionisti subordinati, poi quelli normali e infine i correntisti sopra i centomila euro.
Quindi il decreto “salva banche” del governo ha impedito un crollo più grave?
Premesso che tale decreto non ha nulla a che vedere con il bail-in, paradossalmente sì, anche se il governo l’ha fatto in modo un po’ “selvaggio”. Con questo decreto insieme al Fondo interbancario di risoluzione che ha finalizzato l’operazione per 3,6 miliardi di euro hanno scorporato la parte di passività delle banche facendo fallire gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati e hanno salvato la parte attiva della banca, i conti correnti, i depositi, così come i posti di lavoro dei dipendenti.
Il risparmiatore insomma, nel caso delle quattro banche, è stato un soggetto passivo. Ma il consulente finanziario indipendente è davvero indipendente?
Il cliente lo paga direttamente per ricevere questo servizio: essere al suo fianco affinchè le scelte finanziarie che andrà ad effettuare siano pienamente consapevoli e nel suo esclusivo interesse. Adesso, poi, c’è una forte spinta a livello europeo in tal senso. Infatti la Mifid2 che entrerà in vigore forse nel 2017 dà indicazioni precise: l’orientamento è quello di rendere obbligatoria l’indipendenza nella consulenza agli investimenti. Vedremo come il sistema bancario si organizzerà per il recepimento di questa direttiva comunitaria che a dir poco risulta essere rivoluzionaria.