Raccontano che il premier Matteo Renzi fosse molto infastidito per la vicenda banche e per l’uscita di Saviano sul presunto conflitto di interessi della ministra Boschi. Attenzione: la sua preoccupazione non era tanto l’eventuale mozione di sfiducia per la Boschi o il sentimento popolare, no, dicono i ben informati che Renzi non sopportasse che questo inghippo di governo (e banche) abbia oscurato la ricaduta mediatica della Leopolda. Leopolda numero 6, per la precisione e se dovesse avere un sottotitolo (tipo il film “lo squalo”) sarebbe probabilmente “Leopolda 6 il ritorno della vendetta che vendica il ritorno”. Qualcosa di simile.
Comunque se è vero l’antico adagio secondo cui ognuno di noi nel lavoro è quello che avrebbe dovuto essere allora sicuramente Matteo Renzi I avrebbe potuto fare il giornalista. Anzi, il titolista probabilmente o meglio ancora il responsabile dei palinsesti nazionali. Tutti: dalle scalette dei Tg agli ospiti dei talk show fino agli argomenti delle signore durante il caffè. La gag di un presidente del consiglio che sfancula i titoli dei quotidiani su un maxi schermo (con annessa votazione e nomination stile reality show) farebbe inorridire anche in Corea mentre qui viene perdonata con un buffetto. “È un ragazzo”, ci dicono, come fanno i genitori troppo indulgenti con il figlio più discolo.
E fa niente se un ex direttore del Corriere della Sera (mica di Topolino o Novella 2000) gli manda a dire via Twitter “allora i titoli scrivili direttamente tu”: Renzi sa bene che la Leopolda, ormai, è la nuova “prova della settimana” di quel reality che l’ha fatto Presidente del Consiglio, la quarta Camera di un governo che ha bisogno più di storytelling che di riforme, più di personaggi che di maggioranze. “Siamo il nuovo!” ha intimato Renzi dal palco fiorentino. È la sesta edizione del nuovo. E attenzione, perché tra un po’ sarà quello che “non ci hanno lasciato lavorare”. E poi così. Ad libitum.