Diciamo che l’anno poteva anche chiudersi meglio per Maria Elena Boschi, anche se il tifo dei fan, impegnati a magnificare la sua difesa in aula e a rilanciare il video del suo intervento, che mischiava momenti emotional alla più saccente retorica boschiana, avranno allietato le pene della vicenda di Banca Etruria. Il superministro del governo Renzi ha incassato un voto blindatissimo, superando quello che non a torto è stato descritto come un autogol delle opposizioni, cinque stelle in testa. Stilisticamente impeccabile è stata l’arringa difensiva del ministro, che ricordiamo è avvocato civilista, tra il conteggio delle azioni paterne e il ritratto di una tipica famiglia operosa, di provincia.
Ha raccontato ai deputati, Maria Elena Boschi – e non si capisce bene cosa c’entrasse con le osservazioni delle opposizioni sul buco della banca di cui il padre è stato a lungo consigliere e poi vicepresidente ma tant’è – delle origini contadine del padre. E un suo ritratto, dunque, non può che cominciare così: «Io e i miei fratelli», racconta Boschi, «sappiamo quello che ha fatto mio padre per farci studiare, lui, figlio di contadini che per laurearsi faceva cinque chilometri al giorno a piedi, cinque all’andata e cinque al ritorno, e quaranta minuti di treno».
Ma come si arriva dalla campagna, dunque, a palazzo Chigi a soli 34 anni, giusto in tempo per dire compiaciuti «capisco di poter attirare invidie e maldicenze»? Ci si arriva con il treno di Matteo Renzi, partito dalla stazione Leopolda, sì, ma ci si arriva da più lontano, con un esordio a diciannove anni nel partito popolare. Poi serve molta buona stampa. I titoli giusti sui quotidiani e non solo. Una tosta, per dire, è il titolo della biografia che le hanno dedicato i giornalisti Alberto Ferrarese e Silvia Ognibene, per Giunti, già autori di «Matteo il conquistatore». Solo Bruno Vespa sa fare di più: Donne d’Italia. Da Cleopatra a Maria Elena Boschi storia del potere femminile, è il titolo dell’ultima fatica.
Renzi e Boschi si conoscono politicamente dopo un errore della nostra tosta potente che sostenne la candidatura, alle prime primarie fiorentine che videro in campo Matteo Renzi, del dalemiano Michele Ventura. Tutto si perdona però, e l’occasione per far pace pare fu una relazione preparata da Boschi, all’epoca collaboratrice nello studio dell’avvocato Umberto Tombari sulla privatizzazione dell’Ataf, una delle mosse amministrative più contestate a Renzi dalla sinistra fiorentina. Lo dicono Ferrarese e Ognibene, che raccontano come il rapporto tra i due così si cementò: «Ben impressionato dal lavoro della giovane avvocatessa, Renzi la insediò nel Cda di Publiacqua». Da lì Boschi si è dimessa il 4 giugno 2013 con l’elezione alla Camera dei deputati. In mezzo i rapporti tra famiglie amiche (i Boschi, i Renzi, i Lotti. E poi Serra) che abbiamo scoperto esserci in provincia e non solo nelle grandi e corrotte città, e le Leopolde organizzate che ormai sono sei, con questa che è stata la più difficile, rovinata dalle vicende di Banca Etruria.
E infatti dicevamo che poteva anche chiudersi meglio l’anno per il ministro Boschi. Poteva fermarsi alle voci che la incoronavano già successore del leader, che la immaginavano già in corsa per palazzo Chigi. Prima donna, con una rete di relazioni molto estesa e un alto consenso dentro lo stesso palazzo Chigi. E invece l’anno si chiude con il malocchio di Daniela Santanché, che avanza una previsione non così azzardata. Con Libero Santanché nota come Renzi «già non si faccia più fotografare con lei». «Alla Camera per la fiducia lui non è andato a mostrarle solidarietà anche se il voto favorevole era scontato», è la cronaca, «ma il colpo di scena sarà sulla legge elettorale. Boschi, stai serena, mi viene da dire. È ormai chiaro che l’Italicum è un autogol e che se Renzi andasse al ballottaggio, il Movimento Cinquestelle avrebbe serie possibilità di batterlo. Quindi, sei mesi prima delle elezioni, Renzi cambierà la legge, passando sopra la Boschi come uno schiacciasassi».