Missione compiuta: Matteo Renzi ha condotto in porto la “mutazione genetica” del suo partito e ora può inaugurare la campagna elettorale 2016-2018. Ieri il premier ha chiuso la partita della riforma costituzionale incassando anche l’ok della minoranza Pd al Senato (meno Walter Tocci, più verdiniani e affini) e ha aperto quella del referendum confermativo, invocando il sostegno del “popolo” e garantendo che se non arriva ne trarrà le conseguenze. Meglio dunque lavorare a pancia bassa per “vendere” i risultati di quasi due anni di governo.
«Io non so quanti di voi due anni fa avrebbero scommesso su quello che sta accadendo» ha detto stamattina il presidente del Consiglio mentre presentava i decreti attuativi della riforma della Pubblica amministrazione con i ministri Madia e Giannini. Poi scarica sul Parlamento la patata bollente delle unioni civili e giù con l’elenco degli obiettivi centrati: «Se ci avessero detto che la legge elettorale veniva fatta, che i senatori per tre volte votavano la loro abrogazione, che la pubblica amministrazione avrebbe fatto uno sforzo di questo tipo» nessuno ci avrebbe creduto.
È un Renzi fiero di aver inglobato il Corpo forestale nell’Arma dei carabinieri, dell’abbassamento delle tasse e del «recupero di ruolo dell’Italia», quello che risponde ai giornalisti prima di partire per Losanna, dove i “prodi” Malagò e Montezemolo conducono la battaglia per portare le Olimpiadi a Roma. «Questo è un Paese che è ripartito: l’Italia ha smesso di essere quella che si lamenta soltanto – annuncia – Se poi prendessimo anche le Olimpiadi… sarà dura ma ci proviamo».
Un altro fiore all’occhiello? «L’annuncio di Cisco e di Apple di voler investire da noi: due grandi multinazionali che vengono qua e non altrove». E poi le norme sui «furbetti del cartellino». Nell’annunciarle, questa mattina, il presidente del Consiglio ha indugiato a lungo sull’impiegato che timbrava il cartellino in mutande a Sanremo, spiegando che d’ora in poi (o meglio da aprile, quando il decreto avrà passato il vaglio delle Camere) non ci sarà più alcuna discrezionalità dei dirigenti, che dovranno intervenire “senza se e senza ma”: «Noi diciamo: se non lo licenzi, licenziamo anche te», ha spiegato.
Se a questo si aggiunge l’imminente rimpasto di governo – finalizzato ad assecondare soprattutto le scalpitanti attese degli alfaniani – la mutazione può dirsi compiuta. E il premier e leader del Pd “neocentrista” può affrontare con nuovo slancio i prossimi appuntamenti elettorali, dai referendum (c’è anche quello sulle trivelle) alle amministrative, fino alle politiche del 2018.