Intervista a Massimo Giannini: «Non vedo gufi, non siamo al mondo per rassicurare i cittadini, per spiegare loro che viviamo nel migliore dei mondi possibili»

«La Rai mi può licenziare. Il Pd proprio no». In un momento in cui anche il servizio pubblico subisce il decisionismo del premier, Massimo Giannini, per 10 anni vicedirettore di Repubblica e oggi alla conduzione di Ballarò, ha fissato un suo piccolo personale paletto. Da quello siamo partiti.

Che clima c’è in Rai in questi giorni?

Con i vertici ho sempre avuto un rapporto eccellente di assoluto rispetto e autonomia. Con Gubitosi come con Campo dall’Orto, così con Vianello: in nessun modo Andrea ha limitato la mia indipendenza, e lo ringrazio. Dall’azienda non ho mai avuto pressioni, e tutt’ora il clima è positivo. Per la natura della nuova governance inaugurata dal nuovo amministratore delegato, è però normale che i dirigenti debbano cambiare e con loro altre cose. Il mio contratto scadrà a giugno, cosa accadrà poi non lo so, ma sono sereno.

Non teme l’influenza del Pd sulla Rai, dunque. E quella del governo?

Adesso si sente molto più il peso del governo che dei partiti, è così. Ma è la stessa riforma che è stata così concepita: da una situazione nella quale tutti i partiti avevano voce in capitolo, passiamo a un’azienda che è voce del governo e della maggioranza. È evidente che c’è il rischio dell’unico player.  Tutto è così nelle mani delle persone chiamate a gestire la Rai: e anche a costo di apparire un marziano idealista, ti dico che se i singoli sono in grado di dire di no anche a un potere che ti ha scelto, questo Paese si può ancora salvare.

Sta quindi alla nuova figura dell’Ad?

Un capo azienda forte che si sappia mantenere autonomo dalla politica, sulla carta, sarebbe anche positivo. Ma poi le scelte andranno misurate nel concreto. Bisogna vedere che scelte faranno queste nuove dirigenze, dall’Ad in giù.

Non solo la Rai, sta cambiando. Anche per i giornali è un momento di grandi manovre.

Per parlare della carta stampata bisogna prima accordarsi sul fatto che siamo davanti a un declining business, per altro non reversibile: i giornali stanno subendo, tra le altre, l’erosione del web. In Italia ci sono troppi quotidiani rispetto al bacino di lettura che si va profilando. Non so cosa stia accadendo frai grossi gruppi, siccome di quello parleremo, ma è abbastanza logico che si stia pensando di fare delle concentrazioni anche in questi settori.


 

Questo articolo continua sul n. 7 di Left in edicola dal 13 febbraio

 

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Impicciarsi di come funzionano le cose, è più forte di lei. Sarà per questo - o forse per l'insanabile e irrispettosa irriverenza - che da piccola la chiamavano “bertuccia”. Dal Fatto Quotidiano, passando per Narcomafie, Linkiesta, Lettera43 e l'Espresso, approda a Left. Dove si occupa di quelle cose pallosissime che, con suo estremo entusiasmo invece, le sbolognano sempre: inchieste e mafia. E grillini, grillini, grillini. Dalla sua amata Emilia-Romagna, torna mestamente a Roma, dove attualmente vive.