Ma esattamente che paese è quello dove muori ricoverato in ospedale per una bomba che ti si infila in testa venendo giù dal tetto? Come si chiama quel posto dove per fermare il terrore si sbrindellano i malati mentre sono infilzati alle cannule o impigliati nelle flebo? Che morti sono? Ammazzati per danno collaterale? Morti giusti? Morti sbagliati?
Non è vero che c’è una guerra in Siria. No. C’è una guerra «sulla» Siria e sopra ci giocano in molti: alleanze incrociate tra Paesi che sono a forma dei propri interessi, tutti convintamente dalla parte giusta, uno contro l’altro. Io ogni tanto, mi succede, non so se capita anche a voi, ma mi mancano le parole. Non so come raccontarle, le cose; da che parte prenderle, non ne capisco il dritto e il rovescio. Esattamente come si dovrebbe scrivere un editoriale che racconta di presidi medici in mano a organizzazioni umanitarie che non possono fare altro che infilarsi nelle pieghe bestiali di un paese che è diventato lo stomaco peloso del mondo o come si potrebbe raccontare di ospedali e scuole sbriciolati?
C’è qualcosa, credo, dentro quella melma che cola sulla Siria, qualche strano ingrediente che impedisce a questa storia di diventare interessante: qualcosa come una posizione troppo ostica, una lingua con troppi spigoli o delle fattezze troppo diverse dalle nostre. Fatto sta che mentre si inorridisce per poco qui vicino con questo sangue di Siria non riusciamo proprio a farci commuovere o muovere, semplicemente.
È successo che in uno stato dove non c’è più confine tra governo e governanti, in uno stato che è diventato il pascolo delle bombe di tutti gli altri, a qualcuno è capitato di morire all’ospedale o dentro ad una scuola. Lì dove si entra chiedendo per una attimo “arimo” al resto del mondo, come quando si è bambini. Anzi erano bambini quelli. E mentre gli editoriali raccontavano dei potenti che si telefonavano da una parte del mondo, come un telefono senza fili, mentre i giornali ci dicevano che sarebbe arrivato il “cessate il fuoco” che è “l’arimo” degli adulti, è successo che sono morti i civili, quelli che abitano la guerra senza farla, senza capirla, cercando di passarci in mezzo i più trasparenti possibili.
Niente terroristi, no. Nessun inno ad Allah. La polvere da sparo ha l’accento turco e russo. Dipende dalla fortuna. Niente concerti o caffè, nessuna Torre Eiffel. Sullo sfondo tra le foto che ci arrivano c’è uno di quegli zoccoli di gomma verdi come sono verdi tutti gli zoccoli dei medici e degli infermieri. Nemmeno la scenografia è un granché. Nemmeno morti per terrorismo. No. Morti nella foga dell’antiterrorismo. Una cosa così.
C’è un paese dove si muore nel luogo dove si corre per farsi curare. Pensateci, guardando negli occhi i prossimi sfatti dal sale sopra un gommone. Quella è casa loro.
Io a volte davvero non mi vengono le parole. Buon martedì.