Ci sono quattro Stati americani in cui la percentuale di elettori di origine ispanica sono più del 20%. In altri sei la stessa percentuale è sopra al 10%. Alle ultime elezioni il 71% degli ispanici ha votato democratico, nel 2008 erano il 68%. In totale gli ispanici sono l’11,3% degli aventi diritto al voto, 27 milioni, quattro milioni in più che nel 2012. Un numero destinato a crescere in maniera esponenziale: metà degli elettori ispanici potenziali sono millennials – e molti diventeranno adulti nei prossimi anni.
Se c’è bisogno di spiegare come mai Hillary Clinton e Bernie Sanders abbiano soprattutto discusso di immigrazione nel dibattito che li ha visti a confronto la scorsa notte, questi tre numeri dicono tutto. Allo stesso modo questi numeri ci spiegano come mai il dibattito era frutto di una joint venture tra il Washington Post e Univision, il network televisivo in spagnolo e a condurlo c’era Jorge Ramos, la cosa più simile alla “voce che parla agli ispanici” ci sia in America (una figura simile per i bianchi non c’è più).
Ramos ha incalzato i due contendenti democratici sulla riforma dell’immigrazione e sulla possibilità che questi, se eletti presidente, la smettano di deportare (espellere) minorenni – e le loro famiglie – che non siano coinvolti in procedimenti giudiziari. Entrambi hanno preso questo impegno. Una cosa che Ramos ha twittato in inglese e spagnolo perché la cosa venisse messa agli atti.
En el debate presidencial @HillaryClinton y @SenSanders prometen no deportar a niños ni a inmigrantes que no tengan record criminal.
— JORGE RAMOS (@jorgeramosnews) 10 Marzo 2016
Il dibattito è stato intenso e interessante proprio grazie a Ramos e alla sua co-conduttrice Maria Elena Salinas: hanno posto a entrambi domande difficili e quando non hanno ottenuto risposta hanno insistito. La domanda sulle espulsioni è stata reiterata quattro volte a Clinton, per dirne una. Altri esempi? Benghazi, i costi della riforma sanitaria proposta da Sanders e poi molta immigrazione.
Entrambi i candidati hanno fatto promesse difficili da mantenere a meno di non avere una solida maggioranza in Congresso, a partire dalla assicurazione che durante la prossima presidenza una riforma dell’immigrazione verrà approvata. Facile a dirsi, in molti la vogliono, ma poi difficile a farsi. Come ha ricordato indirettamente Clinton, accusando Sanders di aver contribuito ad affossare la riforma bipartisan scritta da Ted Kennedy e John McCain. Vero, ma il voto di Sanders non fu determinante, lui votava No perché era una riforma troppo moderata, metà dei repubblicani erano contro perché non volevano cedere su una qualche forma di regolarizzazione dei circa 12 milioni di irregolari presenti sul territorio statunitense. All’epoca il tema era caldo, c’era stata una enorme spinta popolare (milioni in strada a chiedere la riforma), c’era il consenso del presidente Bush – che puntava sui latinos, persi malamente per strada – e due senatori importanti che ci mettevano la faccia. Non se ne fece nulla. Promettere oggi che si farà una riforma in fretta è un azzardo, soprattutto per Hillary, che è quella che ha più probabilità di diventare il prossimo inquilino della Casa Bianca.
Il tema – come quello di regole per il lavoro domestico e l’aumento dei salari più bassi, che spesso riguardano proprio lavoratori ispanici – è cruciale per i democratici che sulle minoranze, tutte in aumento come elettorato potenziale, puntano molto. Anche perché, dall’altra parte ci sarà con ogni probabilità Donald Trump, che per adesso ha promesso di costruire un muro al confine con il Messico, deportare milioni di persone e non fare entare i musulmani per un periodo. Se il candidato sarà lui, i democratici non avranno nemmeno bisogno di fare promesse: il New York Times ha dato persino notizia che in alcuni Stati ci sono ispanici che stanno accelerando il loro processo di naturalizzazione (l’acquisizione della cittadinanza) per poter votare contro Trump. Ciascun sondaggio condotto fino ad oggi assegna la preferenza dei latinos tra i potenziali candidait repubblicani a Rubio. Tutti detestano il miliardario newyorchese. Per i repubblicani si tratta di una pessima notizia: Florida, Colorado, New Mexico, Nevada sono stati cruciali per arrivare alla Casa Bianca e in tutti le percentuali di elettori ispanici sono sopra il 10%. Se il fenomeno è reale è probabile che quelli che si registrano al voto saranno molti più che in passato. E che i repubblicani, comunque vada, rimarranno il partito dell’uomo bianco. Ovvero, un partito del passato.
(grafiche: fonte Washington Post/Univision, traduzione Left)