La violenza contro i giornalisti inizia dalla donne. Secondo l’ultimo report presentato questo mese dall’organizzazione Article 19 che lavora in difesa della libertà di espressione, in Messico il 2015 è stato l’anno più violento per i giornalisti, ma le giornaliste sono quelle contro cui il livello di violenza si sta alzando più rapidamente. Negli ultimi setti anni Articulo 19 ha documentato 356 aggressioni, di cui 84 registrate solo nel 2015.
Mentre si snocciolano dati, cadono certezze. Città del Messico non è più un porto sicuro, ma il posto dove dal 2009 al 2015 si registra il numero più alto di aggressioni contro le giornaliste: 76. Il secondo posto se lo aggiudica Veracruz con 52, con il beneplacido del suo attuale governatore Javier Duarte de Ochoa accusato da organizzazioni civili e giornalisti di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Ruben Espinosa e dell’attivista Nadia Vera, ammazzati a sangue freddo dopo aver lasciato Veracruz e cercato di mettersi in salvo a Città del Messico. Con 27 aggressioni, al terzo posto c’è Oaxaca, stato della repubblica federale in cui sorge Puerto Escondido, meta sognata da molti dopo italiani dopo l’indimenticabile film di Abbattantuono, ed oggi territorio pericoloso per i giornalisti che osano varcare le porte delle inenarrabili concussioni tra il governatore Gabino Cué Monteagudo e il cartel de Los Zetas. La simbiosi tra politica e criminalità si può leggere cammin facendo, lungo tutta quella costa da cui è sempre più difficile sporgersi e guardare un tramonto. Alberghi sempre più alti coprono lo scenario, alberghi sempre vuoti in cui tutti sanno, ma nessuno denuncia, che servono da copertura per lavare denaro sporco di traffici illegali. I giornalisti che cercano e trovano le prove a Oaxaca, così come in qualsiasi altro stato della repubblica federale messicana, devono scegliere se vivere una vita sotto assedio o, per starsene al sicuro, lasciare che tutto si sotterri nel luogo comune: son solo voces de pueblo, sono solo voci del villaggio.
Mentre si snocciolano dati, si capisce di cosa devi avere più paura e di chi non ti puoi fidare. Le giornaliste hanno subito attacchi fisici, nella maggioranza dei casi violenza sessuale, 147; minacce, 82; intimidazioni, 53. I loro principali aggressori non sono il nemico che ti aspetti, sicari, paramilitari o ragazzi di una vita criminale, ma funzionari dello stato. Nella maggiornaza dei casi, 157, le giornaliste hanno segnalato come responsabili proprio funzionari dello stato.
Mentre si snocciolano dati, è un obbligo analizzarli. Le giornaliste sono attaccate in maniera differente non solo per affermare il diritto alla libertà di espressione, per cercare e trovare prove, per mettere sotto accusa un intero sistema, ma perchè esercitano una professione considerata troppo dura e difficile, che rompe con il classico ruolo di madre-sposa. Scardinano l’ingiustizia del sistema a partire dall’affermare la presenza del proprio corpo e della propria voce in uno scenario che vorrebbe affermare solo il privilegio della forza e delle armi. Se a sbatterti in prima pagina è un giornalista, lo torturi e\o lo ammazzi, ma in qualche modo lo accetti perchè è un tuo “pari”. Da una donna non puoi accettarlo, quindi la punizione dovrà essere più dura per degradarla e umiliarla.
Messico, la violenza contro i giornalisti inizia dalle donne
La violenza contro i giornalisti inizia dalla donne. Secondo l’ultimo report presentato questo mese dall’organizzazione Article 19 che lavora in difesa della libertà di espressione, in Messico il 2015 è stato l’anno più violento per i giornalisti, ma le giornaliste sono quelle contro cui il livello di violenza si sta alzando più rapidamente. Negli ultimi setti anni Articulo 19 ha documentato 356 aggressioni, di cui 84 registrate solo nel 2015.
Mentre si snocciolano dati, cadono certezze. Città del Messico non è più un porto sicuro, ma il posto dove dal 2009 al 2015 si registra il numero più alto di aggressioni contro le giornaliste: 76. Il secondo posto se lo aggiudica Veracruz con 52, con il beneplacido del suo attuale governatore Javier Duarte de Ochoa accusato da organizzazioni civili e giornalisti di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Ruben Espinosa e dell’attivista Nadia Vera, ammazzati a sangue freddo dopo aver lasciato Veracruz e cercato di mettersi in salvo a Città del Messico. Con 27 aggressioni, al terzo posto c’è Oaxaca, stato della repubblica federale in cui sorge Puerto Escondido, meta sognata da molti dopo italiani dopo l’indimenticabile film di Abbattantuono, ed oggi territorio pericoloso per i giornalisti che osano varcare le porte delle inenarrabili concussioni tra il governatore Gabino Cué Monteagudo e il cartel de Los Zetas. La simbiosi tra politica e criminalità si può leggere cammin facendo, lungo tutta quella costa da cui è sempre più difficile sporgersi e guardare un tramonto. Alberghi sempre più alti coprono lo scenario, alberghi sempre vuoti in cui tutti sanno, ma nessuno denuncia, che servono da copertura per lavare denaro sporco di traffici illegali. I giornalisti che cercano e trovano le prove a Oaxaca, così come in qualsiasi altro stato della repubblica federale messicana, devono scegliere se vivere una vita sotto assedio o, per starsene al sicuro, lasciare che tutto si sotterri nel luogo comune: son solo voces de pueblo, sono solo voci del villaggio.
Mentre si snocciolano dati, si capisce di cosa devi avere più paura e di chi non ti puoi fidare. Le giornaliste hanno subito attacchi fisici, nella maggioranza dei casi violenza sessuale, 147; minacce, 82; intimidazioni, 53. I loro principali aggressori non sono il nemico che ti aspetti, sicari, paramilitari o ragazzi di una vita criminale, ma funzionari dello stato. Nella maggiornaza dei casi, 157, le giornaliste hanno segnalato come responsabili proprio funzionari dello stato.
Mentre si snocciolano dati, è un obbligo analizzarli. Le giornaliste sono attaccate in maniera differente non solo per affermare il diritto alla libertà di espressione, per cercare e trovare prove, per mettere sotto accusa un intero sistema, ma perchè esercitano una professione considerata troppo dura e difficile, che rompe con il classico ruolo di madre-sposa. Scardinano l’ingiustizia del sistema a partire dall’affermare la presenza del proprio corpo e della propria voce in uno scenario che vorrebbe affermare solo il privilegio della forza e delle armi. Se a sbatterti in prima pagina è un giornalista, lo torturi e\o lo ammazzi, ma in qualche modo lo accetti perchè è un tuo “pari”. Da una donna non puoi accettarlo, quindi la punizione dovrà essere più dura per degradarla e umiliarla.