«C’è un clima terribile. È caccia al gambiano», mi scrive Francesco Bellina, un collega di Palermo. Lo scrive da Palermo dove ieri sei italiani hanno aggredito tre ragazzi di nazionalità gambiana. Anche se i giornali, in un primo momento, hanno titolato «rissa» o peggio ancora di «rissa tra extracomunitari».
Ma quella di sabato 2 aprile, a Palermo, «non è stata una rissa tra ‘extracomunitari’», denunciano Forum Antirazzista palermitano, Laici comboniani di Palermo,Arci Palermo,L’altro Diritto Sicilia,Centro Salesiano Santa Chiara,Associazione Diritti e Frontiere (ADIF),Federazione Cobas, Borderline Sicilia,Borderline-europe, Ciss,Osservatorio Discriminazioni Razziali Noureddine Adnane, Emmaus Palermo, Addio Pizzo, Libera Sicilia, Itastra Scuola italiano per stranieri. Anzi, è di un vero e proprio raid che si tratta: contro tre giovani migranti, compiuto dai sei palermitani di Ballarò. E si è concluso con un colpo di pistola, che ha ferito alla testa Yusupha Susso, 21 anni, colpevole di aver reagito agli insulti. Yusupha adesso è in coma farmacologico all’ospedale Civico di Palermo.
«Stavamo camminando tranquillamente, all’improvviso si sono avvicinati in due e senza alcun motivo hanno iniziato ad insultarci. Poi, sono passati alle mani», ha raccontato alla polizia uno degli aggrediti. Agli insulti Susso reagisce con calci e pugni e i due palermitani si allontanano per tornare coi rinforzi. Intorno alle 18 – non lasciano dubbi le immagini di una telecamera – Rubino si aggira per via Maqueda a Palermo, pistola alla mano. Per l’aggressione, gli investigatori della squadra mobile diretta da Rodolfo Ruperti hanno fermato Emanuele Rubino, 28 anni, un pregiudicato palermitano, accusato adesso di tentato omicidio e che secondo gli inquirenti apparterrebbe a un gruppo malavitoso di Ballarò che gestisce vari traffici illeciti, dallo spaccio alla prostituzione.
«Il clima è terribile», ci aveva avvisati il collega Bellina. Questo è l’ennesimo raid contro la comunità del Gambia, e spesso a queste aggressioni non segue una denuncia. Il questore sdrammatizza: «Non c’è nessun movente di tipo razziale dietro il tentato omicidio avvenuto sabato pomeriggio in via Maqueda. C’è solo la volontà da parte di un soggetto di imporre e dimostrare il suo dominio sul territorio», ha detto Guido Longo. «Una sparatoria di sabato pomeriggio, in via Maqueda, non è un fatto normale e dimostra la strafottenza di un certo gruppo di soggetti che pensano di avere il dominio sul territorio ma si sbagliano».
«Yusupha è stato vittima di un’aggressione violenta», è la tesi del suo avvocato Vincenzo Gervasi, legale di parte civile: «Lui e i suoi amici sono stati aggrediti da alcuni ragazzi. Hanno deciso di non fuggire ma di affermare la propria dignità ed hanno messo in fuga gli aggressori. Questi vistisi a mal partito sono andati a chiamare il boss in salita del quartiere che ha sparato a freddo quattro colpi. Questi sono i crudi fatti».
Poche settimane fa, su Left, abbiamo raccontato di un’assemblea spontanea messa in piedi proprio dai ragazzi di nazionalità gambiana sbarcati in Sicilia alla fine della quale hanno redatto un manifesto. Lo ripubblichiamo.
Palermo, quartiere Ballarò. In un giorno di fine febbraio, ventinove giovani gambiani bussano alla porta di un circolo Arci, il “Porco rosso”, nel cuore della città. Sono sbarcati in Sicilia alla fine di dicembre 2015 e, appena arrivati a Lampedusa, si sono visti consegnare una lettera dalle forze dell’ordine: respingi- mento differito con intimazione a lasciare il territorio italiano entro sette giorni. Un passaggio all’hotspot di Pozzallo e nessuna possibilità di fare richiesta d’asilo. I ventinove si ritrovano abbandonati a loro stessi, per strada. E decidono di andare a Palermo. Dove, tra le varie vicissitudini, incrociano i ragazzi del “Porco rosso” e mettono in piedi un ciclo di assemblee autogestite: «L’assemblea gambiana al Porco rosso – si legge nel manifesto – è un’opportunità per Palermo, per poter ascoltare alcuni di noi che sono preparati a parlare in difesa dei nostri diritti umani. Il Gambia è dominato da un dittatore (Jammeh) dal 1994, è un Paese senza diritti umani, libertà di parola, senza buone cure sanitarie e dove Jammeh sfrutta le risorse del nostro Paese». In bocca al lupo all’assemblea gambiana al Porco rosso.