Si bulla, Matteo Renzi, commentando il risultato del referendum poco dopo le 23. Dice «i vincitori sono gli operai di cui abbiamo salvato il posto di lavoro», ma ovviamente pensa «il vincitore sono io», tant’è che poi accusa «la vecchia politica», sconfitta anche perché ha osato tentare di trasformare il quesito sulle trivelle in un referendum su Renzi. Che Matteo Renzi sia convinto di aver vinto lui, lo dice peraltro Maria Elena Boschi.
Questo Governo è più forte dei sondaggi, dei talk e delle polemiche #avantitutta
— maria elena boschi (@meb) 17 aprile 2016
Con l’affluenza ferma al 31,2 e i sì al 85,8 per cento, Matteo Renzi può ragionevolmente dirsi vincitore della partita referendaria, anche se, avendo puntato sull’astensione, ha il vantaggio di poter sommare, con un trucco non certo inventato da lui, i suoi voti a quelli del disinteresse fisiologico. Vince, Matteo Renzi, con il quorum raggiunto nella sola Basilicata, ma alcuni segnali che dovrebbero impensierirlo ci sono anche nel voto di questa domenica.
Non tanto e non solo in ottica delle amministrative (anche se il dato di Roma, ad esempio, è un allarme: ha votato il 34,74 per cento).
Il punto è più il prossimo referendum costituzionale, che è appunto senza quorum. Perché è vero che la minoranza dem ha detto che sulla riforma Boschi voterà sì, è vero anche che il clima è nel Pd sempre più duro e Renzi non sembra voglia fare nulla per rasserenare il clima. Non fa nulla lui, e certo non fanno nulla per pacificare i suoi, come dimostra il tweet di Ernesto Carbone, che ha scatenato una polemica infinita (o quello successivo dove comincia le liste di proscrizione, prendendosela con due eletti del suo partito, in regioni governate dal suo partito).
Prima dicevano quorum. Poi il 40. Poi il 35. Adesso, per loro, l'importante è partecipare #ciaone
— Ernesto Carbone (@ernestocarbone) 17 aprile 2016
Nomi e cognomi: Michele Emiliano, Piero Lacorazza #ciaone #300milioni
— Ernesto Carbone (@ernestocarbone) 17 aprile 2016
Il dato della sconfitta del fronte del Sì, poi, si può leggere in due modi. Si può notare, come fa in queste ore palazzo Chigi, che uno schieramento largo, che andava da Forza Italia e la Lega fino a 5 stelle e Sinistra italiana non è riuscita neanche ad avvicinarsi al quorum (con tutte le attenuanti del caso, compreso un profilo bassissimo del presidente Mattarella e l’intervento pro astensione di Napolitano), oppure si può leggere confrontando il dato con i voti delle europee del 2014. In questo caso, ecco che la partita si complica e che Matteo Renzi per vincerla dovrà veramente ricorrere ad «argomenti più demagogici», come ha annunciato nell’ultimo discorso alla Camera il giorno dell’approvazione della riforma Boschi. Il fronte del voto al referendum, tra sì è no, ha superato la somma dei voti raccolti dai partiti contro Renzi alle ultime europee. E se le schede elettorali non si mischiano un po’, in questo caso a Renzi non basterebbe neanche più il celebre 40 per cento raccolto alle europee.