Gli elettori dei cinque Stati della costa est degli Stati Uniti che hanno votato ieri hanno messo più o meno la parola fine sulle lunghe primarie democratiche e repubblicane. I dati parlano chiaro: Hillary Clinton è a quota 1632 delegati, contro i 1299 di Bernie Sanders, un vantaggio più netto che in passato (una settantina di delegati in più di Bernie guadagnati ieri), anche non tenendo conto dei superdelegati – gli eletti democratici che si sono schierati all’80% con Hillary. Sanders ha rinnovato il suo impegno ad andare avanti e continuerà a vincere Stati e guadagnare delegati, ma i giochi sono fatti.
E Sanders, che pure ha detto nel comizio con cui ha salutato i suoi che «Se vuole i nostri voti Hillary dovrà assumere le nostre posizioni su Sanità, commercio e ambiente», ha anche spiegato in un’intervista televisiva che farà tutto quanto è in suo potere per impedire che un repubblicano – entri alla Casa Bianca. Come fece nel 2008 Clinton con Obama, insomma, Sanders probabilmente farà comizi e organizzazione per la sua avversaria alle primarie. O almeno così sembra di capire. Sembra anche di capire che all’interno dell’organizzazione di Sanders ci siano delle divisioni: lo stratega della campagna Ted Devine ha parlato di riflessione da fare con Politico.com, mentre il capo raccoglitore di fondi ha spedito una mail – alla mailing list colossale di Bernie – in cui si mostra una foto dei coniugi Clinton assieme a Donald Trump. Vedremo come finirà e se Hillary saprà trovare argomenti o idee per convincere il senatore del Vermont. Che oggi twitta: «Non c’è una cosa tra quelle che abbiamo detto in questa campagna che è idealismo irrealizzabile». Come dire: Hillary, prendi alcuni piani del mio programma oppure…
Completamente diverso il discorso in casa repubblicana: Trump ieri ha umiliato gli avversari, guadagnando 100 delegati sui 106 in ballo, avvicinandosi al numero fatidico di 1237 (il 50% più 1 dei delegati alla convention) e rendendo sempre più complicati i tentativi di fermarlo da parte del partito. I delegati guadagnati fino a oggi da Kasich e Cruz sono 713, il miliardario newyorchese, da solo, ne ha conquistati 950 e, a ogni tornata elettorale si avvicina alla soglia della maggioranza. Anche non dovesse riuscire a ragiungere la maggioranza, farlo fuori si rivelerebbe un disastro per il partito. Nominarlo, anche potrebbe essere un autogol. Il partito repubblicano è insomma in un vicolo cieco. Non solo: la vittoria in 5 Stati su 5, con Cruz che arriva terzo in quattro Stati è un segnale agli elettori delle prossime primarie, dove pure Trump non è favorito. Se in Oregon e Indiana, dove si vota la prossima settimana, davvero si assistesse all’alleanza tra i due inseguitori, comunque chi andrà a votare avrà in testa che c’è un vincente in queste primarie e che si tratta del miliardario newyorchese. A questo punto della corsa l’essere molto più vincente degli altri è un asso notevole.
Ieri abbiamo anche avuto un assaggio della campagna che sarà e che vedete riassunta nel video qui sotto. Durante il suo discorso trionfale Trump ha spiegato al pubblico che «Hillary gioca la carta della donna, ma vi garantisco che se fosse un uomo avrebbe difficoltà a prendere il 5% dei voti…sarà più facile battere lei che non i repubblicani che ho sconfitto fino a oggi». Hillary risponde: «Se giocarsi la carta delle donne significa battersi per la sanità alle donne, il diritto al congedo parentale, la paga uguale per tutti, allora sì, mi gioco la carta delle donne». Trump era già scivolato sulle mestruazioni della presentatrice del dibattito Tv Megyn Kelly (troppo dura con lui perché mestruata) e del fatto che le donne che allattano in pubblico sono disgustose.
Con il suo attacco Trump apre un altro fronte e, probabilmente, contribuisce ad unire il partito democratico. I suoi attacchi su terreni scivolosi come quello “della carta delle donne” sono destinati a compattare come una falange le varie costituencies democratiche: le donne, gli ispanici e possibilmente altri gruppi enormi e capaci di spostare il risultato di un’elezione possono essere convinti in negativo a non votare per Trump. Nel 2012 le donne non sposate erano un quarto dell’elettorato totale e votarono Obama al 67%, le donne che scelsero il candidato democratico furono il 55%, nel 2012 come nel 2008. Quest’anno a correre è una donna bianca e non giovane, e visto che Obama tra queste ha perso (sebbene in misura minore di John Kerry nel 2004), per i democratici questo potrebbe rappresentare un ulteriore vantaggio. Quanto agli ispanici, questi nel 2012 hanno votato al 71% per Obama ed erano il 10% dell’elettorato. Nel 2016 il loro peso crescerà ancora, specie in alcuni Stati che sono tutto sommato vitali per vincere. La sparate di Trump, che sono buone per galvanizzare il proprio elettorato alle primarie e trasformare i suoi comizi in arene urlanti, fanno danni incalcolabili in gruppi di elettori enormi che, a novembre, avranno sentito e risentito le sua battutacce. Sbagliare accenti, frasi, battute sull’elettorato femminile e sulle minoranze, un elettorato sempre più cosciente di sé, è un rischio incalcolabile: gli elettori non votano col cervello e neppure, in fondo, con il portafogli.