Torino si prepara alle elezioni: abbiamo seguito la giornata del 1° maggio e incontrato Airaudo e Appendino, i due candidati alternativi a Fassino

A Torino il Primo maggio si fa ancora il corteo, un corteo vero, con in testa i gonfaloni dei comuni della zona e quello della Regione e a seguire le bandiere rosse, dei sindacati e dei partiti, anche di alcuni che non ci sono più. Si fa così, mentre a Roma piazza San Giovanni è ormai più nota per la bandiera coi quattro mori sardi, imprescindibile sventolìo del concertone.
E fa sorridere il cuore al cronista di sinistra, Torino, che ancora lotta, e non solo festeggia, per la festa dei lavoratori. Lotta e si prepara alle elezioni, Torino, che va al voto a giugno come Roma, Napoli, Milano. E il lavoro, più delle buche, è il tema della campagna elettorale, nella città che è ancora nel pieno di una mancata transizione.

Left ha fatto un giro nella città dei festival (il primo maggio si è chiuso anche il Torino Jazz Festival, con le solite polemiche sull’effettivo impatto economico sulla città) e dei vuoti industriali, e ha incontrato i due candidati alternativi a Fassino, l’uscente favorito che si mostra sicuro sui manifesti appesi un po’ ovunque. Nel numero in edicola parliamo dunque di Torino e lavoro, con Chiara Appendino, la 5 stelle che spera nel colpaccio al ballottaggio, mentre dietro di noi scorre il carro di Lotta comunista, perfetto per una foto vintage. Giorgio Airaudo lo incontriamo invece pochi metri più indietro, che tiene lo striscione di Torino in comune, sigla che ha raccolto da subito – caso raro in Italia – tutti i cocci della sinistra, da Si a Rifondazione e Possibile.

Tra auto elettriche e l’idea di un comune voucher free, il racconto di un primo maggio di lotta ed elezioni.

Il nostro viaggio a Torino lo trovi sul n. 19 di Left in edicola dal 7 maggio

 

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Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.