Devo subito fare una confessione: sogno di vivere in un Paese intrinsecamente politico. Mi piacerebbe discutere con la mia farmacista delle complicazione e gli interessi che mi sfuggono nel mondo dei farmaci, vorrei potere dedicare qualche minuto in più e un caffè a chi i giornali (che noi scriviamo) tutti i giorni poi li vende e magari chiedere al bar quale sia il “sentiment” fuori dai social, quello che probabilmente il mio barista chiamerebbe il “cosa rode in giro”; mi piacerebbe che davvero fuori da scuola, nei discorsi in attesa dell’entrata e dell’uscita, si capisse che le lamentazioni spesso sono esigenze da farsi riconoscere, diritti da organizzare; vorrei soprattutto, e sempre di più, confrontarmi con coloro che sono lontani dalla realtà che vivo, per lavoro e per situazione, vorrei riuscire a discutere ogni riforma con quelli che dentro la riforma ci vivono per davvero, quelli per cui una legge, al di là della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, gli cambia la quotidianità, gli orari, i modi e le abitudini.
Dico questo perché non c’è niente di più noioso di ascoltare politici che parlano di politica. Secondi solo alla noia degli attori che ascoltano solo quando si parla di loro. E siccome la politica dovrebbe essere la “funzione di occuparsi delle persone” io non ho mai capito perché loro, i politici, insistono in questa misera idea che di politica c’è chi ne può parlare e chi no. Come se domani per decreto potessero parlare di calcio solo coloro che riescono a correre i 100 metri sotto i 15 secondi oppure come se per esprimere le proprie preferenze musicali sia necessario avere un curriculum di almeno 5 concerti nei peggiori bar di Caracas o come se di etica e morale si decida d’improvviso che ne siano detentori solo i preti. Una cosa così.
E forse è proprio per questo che trovo fiacco e stancante il ritornello del governo che urla che la politica è dei politici e che i magistrati si debbano solo limitare a magistrare. Anche perché, di fondo, la politica non è la gravidanza della Meloni, le imprese letterarie di Salvini, i balletti di Obama o i documento sbagliati (ancora, dopo il certificato di residenza di Claudio Fava per le elezioni siciliane) di Sinistra Italiana che rischia (?) ancora di essere l’alleato perfetto del Pd: la politica almeno non è solo questo. Sta in tutto ciò che è nel modo di stare insieme delle persone, nelle regole che ci diamo per tentare di essere il più uguali possibili. E una riforma costituzionale, che piaccia o no, è una riforma che tocca le fondamenta dello stare insieme, che trae ispirazione dalla storia italiana e che tocca le corde della nostra Repubblica. E su un tema di questa portata io, non so voi, ma io vorrei ascoltare tutti: baristi, bidelli, ingegneri, funzionari, piccoli o medi o grandi imprenditori, operai, impiegati, italiani di seconda generazione, attori, musicisti, sovrintendenti, assessori, deputati, senatori, artigiani, tassisti, piloti, geometri, studenti, insegnanti, disoccupati, pensionati, salumieri, fruttivendoli, fattorini, pizzaioli, giornalisti. Figurarsi se rinuncerei di ascoltare anche i magistrati. Chissà perché.
Buon lunedì.