Sarà un’occasione, per l’Azerbaijan, ospitare per la prima volta nella storia il Gran Premio d’Europa di Formula 1, che si terrà nella capitale, Baku, tra il 17 e il 19 giugno. Un’occasione per inaugurare il nuovo circuito, terminato circa un mese fa, secondo in Europa per lunghezza (2,2 chilometri). Un’occasione di rimonta per il pilota Sebastian Vettel, della Ferrari, che nell’ultimo Gp in Canada è riuscito a piazzarsi al secondo posto. Un’occasione sopratutto per i diritti umani, che nel paese caucasico vengono costantemente violati. La campagna Sport for Rights, nata per monitorare lo stato dell’arte dei diritti umani in Azerbaigian, ha incalzato l’azienda Formula One, e il suo fondatore, l’inglese Bernie Ecclestone, a «migliorare la propria immagine» attraverso una presa di posizione contro gli abusi che avvengono costantemente nell’ex Repubblica sovietica. «Ecclestone parte da una posizione forte, deve fare qualcosa, può richiedere la liberazione dei prigionieri politici» commenta Rebecca Vincent, coordinatrice della campagna, «Ha detto l’anno scorso che non ci sono problemi di diritti umani in Azerbaijan, che la gente sembra felice. Gli basterebbe un controllo di cinque minuti su Google per capire quello che sta succedendo».
Il Paese è guidato ininterrottamente dal 1993 dagli esponenti della famiglia Aliyev, prima il padre Heydar (morto nel 2003) poi il figlio Hylam, riconfermato per la terza volta nel 2013. Il regime degli Alyiev non si fa scrupolo dei diritti umani e reprime con la forza ogni manifestazione di dissenso politico. La situazione è peggiorata negli ultimi anni, tanto che nel 2015 l’Organizzazione Human Rights Watch ha denunciato un «drammatico deterioramento della già difficile situazione dei diritti umani per l’Azerbaijan».
Forte della sua rielezione, Aliyev ha aumentato la repressione verso la piccola ma molto attiva comunità di blogger, giornalisti e attivisti che ogni giorno informano la popolazione sugli episodi di corruzione del Presidente e del suo entourage. Secondo l’associazione Prisoners Watch ci sono circa 100 prigionieri politici in Azerbaijan, senza contare le persone costrette ad abbandonare il Paese.
I casi più famosi sono quelli dell’avvocato difensore dei diritti umani Intigam Alyiev e della giornalista Khadjia Ismayilova, condannati entrambi a sette anni e mezzo di reclusione per accuse definite «inconsistenti» dalle principali organizzazioni internazionali. Il primo è stato liberato lo scorso marzo dopo 19 mesi di carcere, nonostante le imputazioni siano state solo sospese ed il suo conto congelato. La seconda ha rivelato l’impero economico e l’enorme conflitto di interessi del Presidente Alyiev, documentando come le figlie e la moglie siano le proprietarie, attraverso una società offshore, di una compagnia mineraria aggiudicatasi l’appalto per estrarre l’oro azero. Altre inchieste della Ismayilova mostrano come la famiglia Alyiev sia coinvolta in ogni genere di attività illecita a scopo di lucro, e di come tengano in pungo l’economia del paese attraverso società di comodo registrate nei paradisi fiscali, in particolar modo a Panama e Londra. «Non li sto inseguendo», ha dichiarato, «semplicemente ovunque metto le mani, spunta il loro nome». La giornalista è stata liberata a maggio grazie alla mobilitazione dell’opinione pubblica e delle organizzazioni umanitarie.
La principale fortuna degli Alyiev è il petrolio, come documenta il Webdoc Walking the line. I proventi dell’oro nero vengono utilizzati per sponsorizzare i grandi eventi che si tengono nel paese (l’Eurovision del 2012, le Olimpiadi europee del 2015, e ora il Gran premio) e per «modernizzare» costantemente la capitale Baku.
La British Petroleum (Bp) è il più importante investitore estero del paese, ed è stata il principale sponsor nel favorire l’ascesa di Intigam Alyiev, nel 1994. Il sodalizio tra gli Alyiev e la Bp è ancora molto stretto, e la compagnia garantisce gli introiti del petrolio allo Stato azero e alla famiglia del Presidente, e funge da trait d’union tra Baku e Bruxelles. «La compagnia può operare e far si che sia risolto qualsiasi problema, potendo contare sul regime. L’influenza politica fa parte dell’affare» ha scritto la Ismayilova in uno dei tanti articoli.
Un sodalizio di cui l’Unione europea non può fare a meno, essendo che importa oltre il 53% di risorse energetiche. L’importazione di combustibili fossili rappresenta un affare di 400 miliardi di euro all’anno per Bruxelles, cosa che di fatto blocca la crescita delle energie rinnovabili e favorisce i regimi di paesi violenti e corrotti.
Ma torniamo all’Azerbaijan. La Commissione Europea e il regime di Baku stanno negoziando la costruzione del Mega oleodotto Euro-Caspio, del valore di 45 miliardi di dollari che dipenderanno perlopiù dalle finanze pubbliche. E che, oltre a bloccare lo sviluppo delle rinnovabili per anni, rinforzerà i legami dell’Unione europea con l’Azerbaijan a scapito dei diritti umani.
La Trans Atlantic pipeline (Tap) rappresenta l’ultimo segmento del Mega oleodotto: passa attraverso Turchia e Grecia, e termina nella cittadina di Melendugno, in Salento. Dove nel 2011 si è costituito il Comitato No-Tap, che si batte contro la costruzione dell’Oleodotto. Marco Potì è stato eletto sindaco di Melendugno sopratutto per la promessa di battersi contro il Tap: «Se l’Europa vuole assicurarsi le forniture energetiche, non deve far conto sul gas, non deve distruggere le sue ricchezze naturali, né diventare dipendente da un regime autoritario come quello azero» dice Potì, che conclude, «Bisogna investire su un modello energetico decentralizzato, basato su fonti rinnovabili».
Dans Krivosheev, vicedirettore del programma Europa e Asia Centrale di Amnesty International, ha sintetizzato, alla vigilia della formula 1, il legame che intercorre, nel Pese caucasico, tra oro nero e grandi eventi: «L’Azerbaijan è noto per usare eventi di livello internazionale come una cortina fumogena per nascondere le sue politiche repressive alimentate dal petrolio. Cosa c’è di meglio della Formula 1? Non dev’essere permesso ai suoi rumorosi e inebrianti gas di scappamento di sovrastare il soffocato grido di dolore dei difensori dei diritti umani dell’Azerbaijan sotto assedio».