Raggi prima donna al Campidoglio. «Un brutto colpo per il governo Renzi», titola il Wall Street Journal. “Big wins for Five Star Protest Party”, scrive la Bbc. Non hanno funzionato granché le telefonate di Maria Elena Boschi. «Pronto?». «Pronto». «Ciao Tommaso, sono Maria Elena. Volevo ricordarti di votare per Rob…». Tu-tu-tu. Roberto Giachetti tra il primo e il secondo turno è riuscito a convincere solo 50mila romani in più, a votare per lui. Niente. Almeno rispetto ai 309mila in più convinti da Virginia Raggi. Il Movimento 5 stelle, si dirà, raccoglie i voti della destra. Possibile, anzi probabile: è il fattore Italicum e questo dovrebbe però far riflettere palazzo Chigi, finora convinto di doversela giocare con il centrodestra: Roma ricorda invece che l’Italia non è Milano.
«Sono i 5 stelle il vero partito della Nazione», ammettono ora nel Pd, Matteo Orfini compreso – incurante delle richieste di dimissioni che gli stanno recapitando i colleghi di partito, soprattutto chi, come l’ex coordinatore cittadino Marco Miccoli, aveva detto che cacciare Marino «senza neanche uno straccio di piano B» non era un buona idea. Però è vero. I 5 stelle sono un perfetto partito della Nazione, soprattutto se – come hanno fatto a Roma durante la campagna elettorale – ben coperti a destra dal giustizialismo e dall’antipolitica, aprono a sinistra: contro le privatizzazioni, contro le grandi opere, annunciando il nome di Berdini all’Urbanistica, studioso nemico giurato di Caltagirone.
Il bacino più grande a disposizione, in città, era quello di Giorgia Meloni, ricco di 269mila voti: che siano andati in larga parte su Raggi è evidente. Ma sempre a destra c’erano i 143mila voti di Alfio Marchini (sostenuto da Forza Italia e da Storace) e Marchini – per mesi papabile candidato del Pd – aveva detto di preferire il candidato renziano. Roberto Giachetti si ferma però a 376mila voti, confermando così – non fosse bastato il risultato di Rutelli nel 2008 – che quella del voto moderato più che un’oasi è un miraggio. E che inseguendo quella, di certo non prendi granché dei 58mila voti andati a Fassina, in molti invece rassicurati dal volto presentabile dei 5 stelle. Non serve a molto neanche terrorizzare l’elettorato, tentare di accostare i 5 stelle a Casa Pound, né suggerire ai giornali l’esistenza in Procura di un fascicolo su Raggi, per la consulenza sulla Asl di Civitavecchia.
Così Giachetti prende solo duemila voti in più di quelli presi da Alemanno nel 2013, battuto da Ignazio Marino, fiaccato da Parentopoli e l’avvio di Mafia Capitale. Non può essere un buon risultato, e si capisce così che al primo turno non c’era stato nessun «mezzo miracolo» come invece aveva detto Renzi, pronto a spacciare per vittoria una sconfitta. Non è tutta colpa sua, però. Leggendo i dati dei quartieri periferici si svela che il voto è pur sempre anche un voto amministrativo. A Roma Est, a Lunghezza, Virginia Raggi sfiora l’80 per cento. Conterà qualcosa il fatto che lì – urbanizzazione degli anni veltroniani – per entrare a Roma, la tua città, ci sia solo l’autostrada, con tanto di pedaggio?