La candidatura di Giuseppe Sala dall’altra parte certo non ha scaldato gli animi e anche l’imprinting renziano evidentemente (come nel resto d’Italia) non ha portato benefici. Eppure Parisi (imbrigliato dall’ingombrante peso delle facce di Berlusconi, Salvini, Gelmini, La Russa e tutti gli altri) paga forse proprio questa sua moderazione così misurata e sparagnina che l’ha bloccato nelle due settimane del ballottaggio: nessuna ipotesi di giunta (sarebbe bastato qualche nome civico che allargasse l’elettorato e invece la sensazione che si è avuta è quella di delicati equilibri da ricomporre in caso di vittoria) e, soprattutto, l’incapacità di prendere pubblicamente una posizione netta su Renzi e sul referendum costituzionale di ottobre. In una tornata elettorale in cui la moderazione ha allontanato elettori piuttosto che conquistarli.
Quindi a Milano ha vinto il Pd? No, per niente. A Milano la candidatura Sala ha reso complicata una vittoria che in molti prevedevano facile facile («un calcio di rigore» aveva detto Matteo Renzi) e gli ultimi quindici giorni sotto stress da parte del centrosinistra ne hanno evidenziato i problemi: Renzi è sparito, il Pd ha avuto un improvviso innamoramento per la sinistra radicale, Pisapia ha avuto la conferma di avere scialacquato un capitale politico importante e la paura dei fascioleghisti ha funzionato più delle proposte. È un sindaco debole, Sala, per ora e lo sanno in molti: più dipendente da Pisapia che da Renzi.