Questo articolo è tratto da Left in edicola dal 25 giugno
[su_button url="https://left.it/left-n-26-25-giugno-2016/" background="#a39f9f" size="7"]SOMMARIO[/su_button] [su_button url="http://sfogliatore.left.it/singolo-numero?edizione=26&anno=2016" target="blank" background="#ec0e0e" size="7"]ACQUISTA[/su_button]
[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]Oggi, Podemos e i suoi alleati rappresentano la principale alternativa di governo al Partito popolare. Siamo in un momento di impasse, con il Partito socialista che si mostra in difficoltà nell’effettuare una scelta tra le due possibili opzioni di governo presenti nell’attuale disputa politica, in ballo ci sono il presente e il futuro della Spagna. E il contesto internazionale ed europeo in cui avviene questa trasformazione del sistema politico è inedito, completamente diverso da quello che ha determinato la sorte del nostro Paese nel XX secolo.
Passeranno ancora degli anni prima che gli storici e gli scienziati sociali possano dare conto della dimensione degli eventi sociali e politici che stiamo vivendo e che, in poco più di due anni, sono riusciti a consolidare nientemeno che un nuovo sistema partitico.
L’emergere di Podemos, come traduzione politico-elettorale della nuova epoca inaugurata dal movimento degli Indignados del 15 maggio 2011, ha ridefinito lo scacchiere politico. Ma se qualcosa supera in importanza quella irruzione impetuosa, questo qualcosa è il suo consolidamento come opzione di governo capace di guidare un’alleanza storica senza precedenti (e, a mio giudizio, senza passi indietro) con una pluralità di forze che va dagli spazi politici tradizionali della sinistra in Spagna e Catalogna, passando per i partiti galiziani, valeciani e baleari, per gli eco-socialisti e i movimenti sociali, fino alle coalizioni municipaliste che oggi governano le principali città del Paese.
La nostra prima sfida è quella di pensare, in Spagna e in Europa, che siamo in grado di governare solamente attraverso un’alleanza con la vecchia socialdemocrazia, in un contesto post-Guerra Fredda, dove le identità politiche della sinistra che si sono forgiate al calore del Secolo Breve (1917-1989) adesso hanno difficoltà a riconoscere se stesse. Il che implica l’apertura di un dibattito nel Paese, che deve includere i settori della vecchia socialdemocrazia, in chiave ideologica e geo-strategica, su che tipo di politiche possono essere attuate da uno Stato e un governo con enormi limitazioni di sovranità e quali ruoli possiamo avere nel resto d’Europa, in America Latina e nel mondo.
La nostra seconda sfida implica l’apertura di un complesso dialogo per trovare una soluzione istituzionale-costituzionale alla pluri-nazionalità della Spagna, attraverso vie democratiche, mentre ci dotiamo di un nuovo patriottismo, di un’idea di Paese capace di sostenere un progetto collettivo nel rispetto delle diversità all’interno della nostra patria. Non è certo una questione nuova, ma è una tensione costitutiva della nostra storia politica che va attualizzata nei dibattiti e nelle formule sul federalismo e sulla trama costituzionale e giuridica delle diverse realtà e dei diversi sentimenti nazionali.
Sebbene la struttura del nostro sistema politico e le strutture politiche, economiche e militari internazionali in cui siamo sussunti (Ue, Nato, ecc.) siano eredi del mondo bipolare, oggi il contesto è cambiato abbastanza da poter immaginare nuove possibilità.
Il fallimento delle politiche di austerità imposte dalla Germania al Sud d’Europa e l’abdicazione da parte della vecchia socialdemocrazia, trascinata nel vicolo cieco della Terza Via, delle politiche neo-keynesiane, hanno aperto lo spazio per una nuova socialdemocrazia, non condizionata dalle contingenze della Guerra Fredda, che possa esigere una politica allo stesso tempo sovranista ed europeista. È possibile essere sovranisti ed europeisti contemporaneamente? Deve esserlo, se capiamo che la democrazia deve improntare la legittimità delle istituzioni tanto statali quanto europee.
I deficit democratici delle strutture decisionali dell’Unione e lo svuotamento delle istituzioni dello Stato sono una questione sospesa. L’enorme disaffezione nei confronti dell’Europa può assumere molteplici espressioni (i grezzi referendum sul trattato costituzionale europeo e l’avanzata dell’estrema destra antieuropeista sono solo alcuni esempi) e può essere combattuto solo attraverso un’idea di Europa associata ai diritti sociali e al benessere. Per questi e non altri motivi l’Unione è risultata attraente come progetto politico e sociale agli occhi delle popolazioni del Sud e su queste deve basarsi un nuovo progetto socialdemocratico per un Continente che deve avere una sua propria identità geopolitica non subordinata alle altre potenze.
Una nuova idea di Spagna in Europa, plurinazionale e dove i diritti sociali sono garantiti nel segno di un nuovo modello produttivo, non possiamo costruirla da soli; richiede ampie alleanze, sociali, politiche e con settori strategici dell’imprenditoria, tanto nel nostro Paese quanto in Europa.
Dopo le elezioni emergeranno chiaramente le due opzioni di governo: la continuità del Partito popolare al governo oppure un governo con Unidos Podemos. Il Psoe si troverà presto innanzi al dilemma di decidere con quale delle due opzioni impegnarsi a condividere la responsabilità. In qualunque dei due casi il cambiamento del sistema è assicurato e la variazione dell’esecutivo sarà solo una questione di tempo.
Sono convinto che la vecchia socialdemocrazia, qualunque sia l’esito del 26 giugno, resterà una forza politica fondamentale e un alleato necessario per noi, ma credo anche che il suo peso specifico come alternativa di governo ai conservatori sarà determinato dalla decisione che prenderà adesso. Dopo il 26 giugno il Psoe potrà unirsi al cambiamento e rinnoversi oppure oppure rimanere ancorato al passato e diventare una forza con un peso storico molto minore nella determinazione del futuro della Spagna.
(El País del 3 giugno 2016)
Questo articolo è tratto da Left in edicola dal 25 giugno