È allarmante questo fastidio diffuso che si sparge impunemente ogni volta dopo un voto: attenzione, non è contrizione per la sconfitta o una sentita valutazione degli errori compiuti e non è nemmeno banalmente la delusione del tifoso tradito dal partito del cuore ma piuttosto si tratta di un preoccupante senso di superiorità culturale che ammanta i vinti mentre ci convincono di averci concesso l’opportunità di sbagliare. E quando in politica qualcuno vorrebbe imporre la propria valutazione, il proprio sguardo sui fatti del mondo e quando qualcuno pretende di sapere (solo lui) ciò che serve e come serve si sparge in giro un odore di libertà concessa. E non è libera la libertà concessa. La propria libertà e la libertà degli altri non si scontrano in un equilibrio che traballa in base al momento e alla paura: è sistematica, la libertà.
Così le analisi del voto sono diventate ormai un monito. Politici che non ascoltano il voto ma piuttosto lo interpretano giudicando l’elettorato con l’arroganza del maestrino e ostinandosi (impunemente) a volere (loro) un popolo che li rappresenti per davvero. E mentre qualche democratico (d’etichetta, s’intende) ci insegna che chi vota male non dovrebbe votare (i democratici, pensa te; le destre saranno per la fucilazione, probabilmente) l’allarme per questa inversione della politica ormai tutta impegnata a forgiare popoli senza nessuna capacità d’ascolto viene derubricato come becero populismo. E che sia lodato il populismo, allora, di fronte all’oligarchia politicista.
Non ce ne stiamo accorgendo ma questi stessi che vorrebbero togliere il voto ai poveri e agli ignoranti sono stati eletti per superare l’ignoranza e la povertà: dovrebbero chiederci scusa e invece ci accusano del loro fallimento. Un’incessante narrazione completamente fuori tema sta invadendo l’Europa tant’è che oggi i maturandi si sono travestiti da commissari: dopo avere imposto un modello economico precostituito ora vorrebbero preconfezionare anche il modello culturale e poiché non ci riescono si incazzano, spargono scemenze con la postura dei sacerdoti e trovano fior fiore di editorialisti che li prendono sul serio.
Megafoni scambiati per intellettuali, leader dissociati in cerca di conferme, sondaggisti come quattro amici al bar, burocrati che millantano fantasia, giornalismo annacquato con la propaganda, analisti ammaestrati dallo stesso domatore e politici prodotti in serie: una classe diligente (piuttosto che dirigente) che non ha ancora capito che solo i pesci morti seguono la corrente.
Buon lunedì.