Sorride Luigi Di Maio. Per lui il primo luglio è stata una bella giornata. Anche perché, per Matteo Renzi, invece, lo è stata un po’ meno. Il sondaggio che Demos ha realizzato per Repubblica dà infatti il 5 stelle avanti nella popolarità rispetto al presidente del Consiglio, che è in caduta costante e solo in parte fisiologica, con il suo governo che nel giugno 2014 piaceva al 69 per cento degli italiani e oggi solo al 42. Arriva infatti sorridente, Di Maio, a Spoleto, dove pure lo aspetta un incontro importante, uno dei tanti che sta collezionando per perfezionare il suo profilo da leader presentabile del Movimento, da premier in pectore. Incontra ambasciatori, incontra leader internazionali, vola in Germania, vola in Spagna, va a Londra e a Parigi (dove – racconta – «ho avuto l’impressione di parlare ancora con i Bersani e i D’Alema dell’epoca, convinti che Le Pen sia un fastidio momentaneo») e quindi, immancabilmente, si fa intervistare da un senatore del giornalismo come Paolo Mieli, nella borghesissima cornice del festival dei Due Mondi di Spoleto.
E dice tante cose, Di Maio. Racconta dell’infanzia a Pomigliano, del padre missino, del caro professore craxiano, socialista nostalgico della Prima Repubblica, e di quello di Filosofia che è «comunista-comunista-comunista»: «Io sono il mix di una padre di destra, di una città sindacalizzata e di un professore comunista», dice quindi, «e ho preso il buono che c’era in ognuna di queste cose». Parla del limite dei due mandati, poi, dando qui una mezza notizia, peraltro: potremmo scommettere senza troppe remore che la sacra regola cambierà e non varrà per tutti. Perché la difende, ovviamente, Di Maio, ma poi aggiunge: «Se stiamo parlando della prossima legislatura, comunque, io penso che se vinceremo dovremo lavorare, goderci il momento, e poi, tra otto anni», alla storia dei limite due mandati, «ci pensiamo e lo decideranno i cittadini».
E poi parla ovviamente della legge elettorale. Che è, popolarità e gradimento a parte, la vera preoccupazione del segretario del Pd e premier in questo momento, perché la seconda cosa che dice il sondaggio Demos – già in realtà perfettamente visibile con volto delle amministrative – è che il Movimento 5 stelle al ballottaggio sarebbe addirittura dieci punti avanti al Pd. Sono i 5 stelle, infatti, il vero partito della Nazione, capace di raccogliere a sinistra ma soprattutto a destra, dove pure avrebbe voluto pescare Renzi, che però ha coccolato (dall’abolizione dell’articolo 18 in giù) più i moderati. Grillo invece cavalca temi come l’immigrazione, e pesca più a fondo. Ecco allora l’idea di cambiare l’Italicum. Solo che Renzi una modifica in funzione anti grillina sarebbe un assist clamoroso, ma sa anche che il ballottaggio con il premio di maggioranza alla lista che si era cucito addosso ora potrebbe calzare a pennello al Movimento. Non è bello, e allora in attesa di capire cosa fare bisogna almeno innescare la polemica: e i 5 stelle hanno abboccato subito all’amo gettato dallo spin Filippo Sensi. Sembrano loro, adesso, i difensori dell’Italicum.