C’è un video che circola in queste ore un po’ dappertutto: un bambino, evidentemente tifoso del Portogallo di cui indossa la maglietta, consola un tifoso francese adulto dopo il triplice fischio della finale dell’Europeo. L’adulto all’inizio sembra quasi sorpreso da quel piccolo consolatore che ha l’ardire di interrompere la delusione. Già, sono soprattutto i bambini ad avere il coraggio di ribadire che la tristezza sarebbe un momento da non consumare mai da soli.
Lo spilungone francese accenna un ringraziamento. Il piccolo tifoso osa ancora: non è convinto di avere fatto abbastanza, il francese ciondola come se quella consolazione sia solo una cortesia da buona educazione, in punta di piedi lo insegue per qualche metro e gli dice qualcosa. A quel punto, qualsiasi sia stata la frase ascoltata il tifoso francese si scioglie in un abbraccio. Il piccolo portoghese risponde stringendo. Un adulto e un bambino con quella forma tutta sbilenca di due altezze così diverse che vogliono rimanere attaccate.
Dentro quell’abbraccio si sciolgono anche le nazionalità, meglio ancora i tifi, la differenza d’età, il rischio di sembrare patetici, la voglia di prendere sul serio tutti bambini inclusi, la vicinanza di una passione al di là del risultato personale, la fratellanza dell’essere nello stesso posto nello stesso momento e la comunione di un momento.
Quando l’ho visto giuro che ho pensato che tutto quello che ci sarebbe da dire in questi giorni era tutto in quell’immagine. Poi ho pensato che forse sarebbe retorico. E alla fine l’ho scritto. Figurarsi se abbiamo il diritto di inibirsi noi, davanti a quei due.