Il duro contraccolpo di Erdogan ai golpisti dello scorso 15 luglio colpisce direttamente i media. Questa mattina le autorità turche hanno emesso 42 mandati d’arresto nei confronti dei giornalisti accusati di aver sostenuto la rete vicina a Fethullah Galien, il religioso esiliato negli Stati Uniti considerato la mente dietro il fallito golpe militarista.
Mentre Erdogan, è noto, da subito, ha chiesto l’estradizione del suo principale oppositore che ha però smentito ogni suo coinvolgimento nei fatti del 15 luglio, il pugno duro del governo colpisce le voci di riferimento della stampa liberale turca. Dopo gli arresti dei giorni successivi al golpe – tra cui quello di Orhan Kemal Cengia (nella foto qui sotto) giornalista e noto attivista per i diritti umani, oggi è toccato a molti professionisti tra cui Bulent Mumay – ex caporedattore di Hurriyet – e Nazli Iliack. Volto storico dell’informazione circa, la giornalista settantaduenne ed ex parlamentare, aveva assunto ormai da tempo posizioni fortemente critiche nei confronti del governo di Recep Tayyip Erdogan. Per quelle critiche Nazli Iliack era stata allontanata nel 2013 dal giornale per il quale scriveva.
L’epurazione della stampa turca arriva nel giorno dell’arresto di altri 40 militari. Questa volta in un’accademia di Instabul. A dichiararlo è l’agenzia Anadolu che in un comunicato spiega che le operazioni sono state portate avanti da un’unità vicina all’antiterrorismo turco che ha eseguito anche una serie di perquisizioni nelle abitazioni degli arrestati.
Ad oggi le autorità turche hanno arrestato, incriminato e sospeso oltre 60.000 persone. Tra di loro ci sono magistrati, professori, dipendenti pubblici e membri delle forze di polizia e dell’esercito. 2341 tra scuole, ospedali ed uffici pubblici ad essere stati chiusi a partire da sabato scorso. Dichiarato lo stato d’emergenza e prorogata a 30 giorni la durata massima dello stato di fermo. La stretta di Erdogan non risparmia nessuno ed il paese è spaccato a metà.
Ieri migliaia di persone, tra cui moltissimi curdi, sono scese in piazza ad Istanbul per contestare lo stato d’emergenza e in difesa della democrazia dopo il colpo di Stato tentato dai militari ormai quasi due settimane fa. In piazza c’erano anche eletti dell’Akp, il partito del presidente, che evidentemente cerca di stare in equilibrio e continuare a dare una parvenza di agibilità democratica. In una città blindata e in una piazza di bandiere tra le quali è spuntata quella raffigurante il volto di Kemal Ataturk, padre della Repubblica, una parte del Paese prova a resistere alle strette oscurantiste del governo.
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