Lo Yemen è stato per millenni l’Arabia felix, un’oasi di civiltà lungo la via delle spezie. Si narra che qui fiorì il regno della regina di Saba che tenne testa a Salomone e per questo è stata dipinta dai cristiani con una zampa caprina.
Mitica sovrana, bella e saggia, Bilqis (questo il suo nome arabo, dall’antica dea dell’amore) è spesso evocata come immagine positiva nei discorsi delle donne yemenite che oggi lottano per l’emancipazione. Ma questo Paese della penisola araba, oggi martoriato dalla guerra civile, non è solo la terra dell’arabo classico codificato nel Corano, ma anche la culla di una straordinaria cultura pre islamica, che si è espressa in templi dalle colonne svettanti e vertiginose, in enigmatiche e lucenti sculture di alabastro, ingegnose dighe e sistemi di irrigazione ben più antichi di quelli romani. Mentre la raffinatissima architettura della capitale Sana’a, con la sua labirintica medina, fa pensare ai racconti delle Mille e una notte. «Parliamo di bellezze, non semplicemente naturalistiche, ma costruite dall’uomo con fantasia e studio», commenta Isabella Camera d’Afflitto, che in libri come Perle dello Yemen (Jouvence), Lo Yemen raccontato dalle scrittrici e dagli scrittori (Orientalia) e Letteratura araba contemporanea (Carocci) ha tracciato un quadro della letteratura yemenita che arriva fino ai nostri giorni, presentando nuove generazioni di scrittori – fra loro molte donne – che stanno emergendo nel vasto e variegato mondo della letteratura in lingua araba. Parliamo di romanzieri, poeti, drammaturghi, saggisti che oggi, «benché isolati a causa del conflitto in atto – racconta l’arabista della Facoltà di Studi Orientali di Roma – continuano a scrivere, cercando nuovi modi per pubblicare e non perdere i contatti con la comunità intellettuale internazionale». Anche se è molto critica la situazione in cui versa Sana’a, dopo che questo conflitto ha ucciso la speranza di rinnovamento delle primavere arabe. Anche in Yemen migliaia di giovani, ragazzi e ragazze, scesero in strada per chiedere democrazia e diritti. Ma alle proteste laiche e progressite del 2011 fece seguito il tentativo di colpo di Stato dei ribelli Houthi, sciiti sostenuti dall’Iran, e la dura risposta militare dell’instabile governo sunnita di Abd Rabbo Mansour Hadi, mal visto dalla popolazione, perché eterodiretto dall’Arabia Saudita, che ha approfittato di questa situazione di instabilità. Un conflitto, quello che si gioca sulla pelle dei civili yemeniti, sanguinoso e complesso, in cui si scontrano gruppi sunniti e sciiti, ma che più profondamente va letto nel quadro di annosi conflitti tribali per il controllo del territorio. Che il generale Sales, nei suoi 33 anni al potere, aveva astutamente saputo governare, restando a galla. E che negli ultimi anni è riesploso, fomentato da potenze straniere, in primis l’Arabia Saudita e l’Iran, ma anche con un coinvolgimento del Qatar e degli Emirati. Tanto che la città di Aden «che cinquant’anni fa – dice Camera D’Affitto – aveva leggi e costumi moderni ed era considerata la Parigi del mondo arabo» oggi è terreno minato, sottoposta ad attacchi dell’Isis e di gruppi legati ad Al Qaeda che hanno fatto di Mukalla, e del suo vantaggioso porto, il loro quartier generale. Insieme a un numero altissimo di vittime – si parla di settemila morti e 11mila feriti – questa devastante guerra di cui i media internazionali parlano pochissimo ha prodotto miseria, carestie, fame e immensi danni al patrimonio culturale yemenita. Solo nel 2015 i raid della coalizione sunnita per stanare i ribelli Houtii hanno distrutto 36 siti archeologici, di fatto vanificando larga parte del lavoro di scavo e di recupero compiuto negli anni Ottanta e Novanta da studiosi come l’italiano Alessandro de Maigret, al quale si deve l’importante scoperta dell’età del Bronzo yemenita, e in particolare del grande complesso di rovine (Wad Yala) che, dopo Marib, è considerato il più importante giacimento sabeo sinora scoperto nello Yemen.
Attacchi dell’Isis o pilotati da altri gruppi fondamentalisti come Al Qaeda hanno preso di mira anche l’accogliente e superba Sana’a, patrimonio dell’Unesco. Numerose esplosioni hanno colpito il centro storico, come quella avvenuta nel marzo del 2015 (pochi giorni dopo l’attentato di Tunisi al museo del Bardo) che ha ucciso 142 persone. I raid sauditi hanno distrutto celebri case-torri in mattoni e pietra, costruite nel caratteristico stile della città risalente all’età preislamica, è andato giù parte del palazzo reale del sovrano sabeo Ilisharah Yahdub del III sec. d.C. ma anche una intera sezione del Museo archeologico dello Yemen, dove si trovava una importante collezione di scultura pagana e musulmana. Non lontano da Sana’a è stata colpita anche l’antica Marib, capitale del regno sabeo, con la famosa grande diga, capolavoro di ingegneria idraulica che smistava l’acqua verso la città, e il sito di Sirwah. Alcune immagini mostrano la rovina del muro di cinta di Baraqish e la distruzione di eleganti templi ipostili, come quello di Nakrah, risalente al VII sec. a.C. e rimasto in uso sino al I sec. d.C., che era stato portato alla luce all’inizio degli anni Novanta (e poi restaurato nel 2004) proprio da de Maigret prematuramente scomparso nel 2011. Il direttore dello Yemen’s General Organisation of Antiquities and Museums, Mohannad al-Sayani, denuncia distruzioni mirate, per motivi ideologici, «che puntano ad annientare il patrimonio culturale yemenita simili a quelle intenzionali perpetrate dall’Isis in Iraq e Siria». Un attacco barbaro e antistorico in un Paese che ancora nel primo decennio degli anni Duemila viveva un periodo di grande vitalità culturale grazie a intellettuali come, ad esempio, ‘Arwa Abduh Uthmàn, ricercatrice del Centro di studi yemeniti impegnata nella lotta per i diritti delle donne attraverso la scrittura ma anche rifiutandosi di portare il velo. «La letteratura non è affatto marginale se si vuole capire lo Yemen oggi» sottolinea Isabella Camera D’Afflitto. «Le scrittrici oggi sono tante e il salto generazionale è enorme» se si considera che perlopiù provengono da famiglie povere che non potevano permettersi di mandare le figlie a scuola. «Le scrittrici e attiviste yemenite di oggi sono colte, hanno una laurea e un dottorato» racconta la docente di lingua e letteratura araba de La Sapienza, a Roma. Fino a non molto tempo fa a Sana’a erano aperti numerosi circoli culturali impegnati sul fronte dell’emancipazione femminile, che facevano informazione nei villaggi per cercare di debellare la piaga delle spose bambine. «All’ingresso di uno di questi circoli a Sana’a c’era una scritta che dava il benvenuto agli uomini», ricorda Camera d’Afflitto.« Ma ad una condizione: che non indossassero la Jambiya, il tradizionale pugnale curvo infilato nella cintura».