Ogni tanto le circostanze giocano brutti scherzi per uno strano incastro di tempi e così succede, com’è successo ieri, che in giro si ricordassero tutti di Libero Grassi, l’imprenditore palermitano ucciso da Cosa Nostra per essersi ribellato al pizzo il 29 agosto del 1991.
Commemorare la memoria, si sa, è una pratica salutare se i ricordati sono persone che, proprio come Libero Gassi, hanno pagato con la vita il coraggio di osare le regole. Regole e giustizia. A costo di fare arrabbiare i prepotenti e, soprattutto, essere isolati dai buoni.
Nei Paesi stanchi si infila l’idea che sia giusto ciò che è comodo, produttivo e che riesce a non sforare le regole. Tutto ciò che non è illegale è quindi giusto? No, certo, risponderebbero tutti d’acchito, eppure pullulano le articolesse che demandano ai giudici la parola definitiva tanto per la giustizia quanto per l’opportunità, la valenza sociale e politica di tutte le umane azioni. Il “primato della politica” arriva sempre dopo la giustizia e così è diventato un primato secondario. Per dire.
Libero Grassi dal momento in cui decise di rendere pubblico il proprio rifiuto di non sottostare al racket di Cosa Nostra fu considerato pericoloso sia dai cattivi che dai buoni. Ma qui sono i buoni ad interessarci: gli industriali palermitani ritennero che la ribellione di Libero Grassi potesse mettere a rischio i propri affari poiché pretendere una rivoluzione così improvvisa avrebbe sconquassato gli equilibri cittadini. Libero Grassi, in fondo, è stato un “improduttivo” che ha messo davanti gli interessi collettivi alla crescita del fatturato locale e così non potendogli dare dell’egoista finì che lo bollarono come cattivo esempio di protagonismo.
Ecco perché tutto questo trastullarsi la memoria di Libero Grassi di ieri forse stona un po’, oggi: oggi mentre l’ammorbidimento della regole (che nel lavoro si chiamano spesso diritti) sembra la soluzione unica per la ripresa dell’economia. Oggi mentre ancora rimbombano le parole di Marchionne che ha goffamente tentato di insegnarci che il troppo profitto diventa avidità. Marchionne. Lui e l’etica del lavoro. Da non credere.
Il fatto è che se dovessimo esercitarla la memoria avremmo dovuto nel giorno dell’anniversario della morte chiederci se abbiamo costruito un’Italia che oggi riconoscerebbe Libero Grassi, il suo coraggio, la sua etica, la sua schiena dritta nel fare impresa. Dovremmo chiederci se siamo riusciti davvero a costruire un Paese che oggi riconosce i suoi uomini Liberi in giro.
La risposta, ecco, datevela voi.
Buon martedì.