Come sempre, le leggi sono fondamentali. Soprattutto se sono accurate, se prevedono sanzioni congrue, se sono semplici da applicare e se i risultati a cui portano sono concreti.
Sul caporalato e sulla sua diffusione endemica, però, la legge di per sé rappresenta solo una parte della soluzione del problema. Il resto è rappresentato dalla responsabilità di chi sa, di chi trae profitto, di chi rimane nonostante tutto indifferente. Non possiamo più prenderci in giro, né usare alibi.
Se è vero che a tutte le latitudini c’è sfruttamento organizzato, se è vero che nei ghetti di cui si parla solo per poche settimane all’anno si riscontrano violenze, stupri, scomparse di persone, non si può pensare che non vi siano responsabilità di tutti coloro che hanno la possibilità di decidere.
Davvero di fronte a questi crimini contro la persona e contro l’umanità, in cui il lavoro è scambiato con pochi soldi e ricattato con la disponibilità totale del corpo del lavoratore e della lavoratrice, nessuno di coloro che vivono in quelle comunità e di quel lavoro ha nulla da obiettare?
Quando anni fa visitai i campi dello sciopero dei lavoratori a Nardò guidato da Yvan Sagnet, molti mi dissero che si esagerava e che sì le condizioni erano inumane ma si era sempre fatto così. Quasi che fosse una condizione naturale del lavoratore guadagnare pochi euro a cassone e pagarsi tutti i servizi connessi per andare a lavorare.
Lo stesso si legge dalle cronache del Ragusano, di Rignano e di altre località più a Nord, dove si parla ancora meno ma dove il caporalato si diffonde ugualmente.
Lo Stato, le istituzioni, la Repubblica non possono girarsi dall’altra parte. Le associazioni di impresa non possono fare finta di non sapere che i loro stessi aderenti ci speculano. Le categorie professionali non possono pensare di continuare a trarre profitto dalla gestione del fenomeno. Siete, siamo tutti coinvolti.
Propongo al Presidente Mattarella di visitare, con tutti i parlamentari interessati questi luoghi e di denunciare insieme questa situazione che rende incivile tutto il paese.
Non lo facciamo solo per i lavoratori sfruttati, per le donne violate, per gli schiavi della canicola: lo facciamo per noi, per la dignità nazionale, per il lavoro di tutti. Anche di quegli italiani che pensano di potersi permettere una semplice contrapposizione con i lavoratori stranieri, ma che in realtà devono essere i primi a battersi con loro per una retribuzione dignitosa. Sfruttare gli uni serve per sfruttare anche gli altri.