«Quello che mi ha insegnato mio figlio è che la morte fa parte della vita e considerla un tabù è molto grave»

La chiamo, lei vuole rimanere anonima. “Ti aspettavo” mi dice. “Chi sei?”, le chiedo. “La mia storia è comune, ho 44 anni, lavoro… Questa è in soldoni la mia vita”. La sento male, si sposta, mi dice, in una parte dove può stare più tranquilla. La sento. “Cosa ti è successo?”. “Ho avuto una prima gravidanza, era andato tutto bene, era nato un bambino che tutti percepivano, anche i medici, sanissimo. Eppure io, già dal primo mese, ho cominciato a sentire che c’erano dei problemi. Nel senso che la normalità per un neonato è di evoluzione in positivo, è una continua conquista di capacità… mentre mio figlio le perdeva. Se da un lato il suo iter cognitivo andava bene, i suoi movimenti si riducevano. Ho cercato aiuto, che si è trasformato in una serie di indagini mediche per capire cosa stesse succedendo e il risultato è stato che abbiamo scoperto che aveva una malattia neuromuscolare ad esito infausto per la quale in tutti questi anni non è stata trovata alcuna cura. E che sarebbe morto in tempi rapidi, perché ne aveva una forma molto severa. Particolarmente severa. Ci è stato detto sin dall’inizio che non c’era alcuna possibilità che sopravvivesse”.

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