I grandi del calcio, quelli che guadagnano decine di milioni che danno una mano allo sport sociale, ai campetti di periferia, alle squadre dilettanti. Un sogno, un’utopia? Quando l’estate scorsa Higuain è stato venduto per 90 milioni, il mondo della scienza ha fatto notare che più o meno era la stessa cifra che ogni anno viene data ai Prin, i progetti di ricerca degli scienziati italiani.
La proposta di legge presentata ieri alla sala stampa della Camera dal deputato Giulio Marcon (indipendente di Sinistra italiana) non eliminerà certo questa stortura colossale tutta italiana – perché all’estero la ricerca viene finanziata molto, molto di più – ma almeno potrebbe consentire la sopravvivenza e lo sviluppo dello sport sociale, di quelle decine di milioni di sportivi della domenica o di giovani che non hanno strutture né palestre per praticare un’attività che li appassiona. Ispirandosi a una legge analoga francese, Marcon e molti altri firmatari di diversi schieramenti, hanno elaborato un testo molto semplice, «da migliorare, certo», afferma il deputato. In Francia tutte le discipline sportive sono coinvolte.
La proposta di legge italiana prevede di dedicare il 5% dei diritti televisivi relativi alle partite di calcio di serie A e B “al finanziamento dello sport sociale e per tutti e dello sport paralimpico”. «Il 3% allo sport sociale e il 2 % alle società dilettantistiche e all’impiantistica. Visto che dai diritti televisivi si ricava 1 miliardo e 200 milioni, il 5% sarebbero 60 milioni, una cifra che servirebbe a far ripartire un settore che in questo momento di crisi langue e ha bisogno di risorse». Certo, decisamente qualcosa in più rispetto ai 500mila euro che la deputata Laura Coccia (Pd) era riuscita a strappare con un suo emendamento sulla proposta di legge sul riconoscimento e promozione sociale dello sport. Proposta di legge che, come dice Filippo Fossati (Pd), primo dei firmatari, dal 2013 è finita arenata in qualche cassetto.
Marcon ha presentato il progetto di legge insieme a Vincenzo Manco, presidente dell’Uisp e a due grandi del calcio italiano: Renzo Ulivieri, presidente dell’associazione allenatori italiani e Damiano Tommasi presidente dell’associazione calciatori. Due sportivi impegnati in prima persona in attività di impegno sociale, come ha ricordato Marcon. «Quando ho chiamato Ulivieri era a Beirut ad allenare una squadra di profughi, mentre Tommasi l’ho conosciuto vent’anni fa nelle missioni di pace nella ex Jugoslavia».
Ulivieri ha ricordato l’importanza di una tale iniziativa di legge e nelle sue parole si è sentito l’uomo di sinistra oltre che sportivo. «Bisogna prendere atto che accanto allo sport d’élite c’è anche un altro sport, e sarebbe giusto che quello che produce spettacolo e risorse dia una una mano a quello vissuto direttamente dal cittadino». Secondo il mister non ci può essere contrapposizione tra i due sport. «Sarebbe una visione miope: lo sport d’élite se non ha una base poi non sta più in piedi. E dall’altra parte è vitale che i cittadini abbiano il diritto alla salute fisica, mentale e sociale». Ulivieri sottolinea il pericolo che i giovani se ne stiano in casa a giocare davanti al pc: «Quel tipo di pratica significa isolarsi, invece bisogna riprendere la strada per camminare insieme», dice l’“allenatore militante”.
«È la prima volta che calciatori e allenatori vengono interpellati in una iniziativa come questa proposta di legge», dice Damiano Tommasi, spiegando anche lui come non possa esistere separazione così abissale tra i calciatori professionisti e Vip e la massa di sportivi dilettanti. «Ricordiamoci che i calciatori sulle figurine, prima di giocare sono stati anche loro collezionisti di figurine». Il presidente dell’associazione calciatori, sottolinea poi altri problemi che non finiscono mai nelle pagine dei media sportivi, come per esempio cosa succede a un calciatore post carriera, non riferendosi certamente ai campioni o il problema di retrocessioni che costano bagni di sangue. Se ci fosse più mutualità, se i grandi aiutassero i piccoli e permettessero la sopravvivenza del tessuto sociale anche attraverso la pratica dello sport, beh, forse sarebbe un passo avanti. Per tutti, sportivi e non sportivi.