Lampedusa non dimentica. Tre anni dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 che costò la vita a 368 migranti, alle prime ore dell’alba davanti all’Isola dei Conigli, il clima che si respira nell’isola è pieno di aspettative. Un corteo di studenti provenienti dall’Italia e dall’Europa, dietro gli striscioni “Proteggere le persone non i confini” insieme ad alcuni dei superstiti del naufragio provenienti dalla Svezia, in compagnia di molti lampedusani ha attraversato il centro, è sceso al molo vecchio e poi, dopo la piccola salita è arrivato alla scogliera dove sorge la Porta d’Europa di Mimmo Paladino, l’opera che rappresenta l’accoglienza nei confronti di chi fugge dalla guerra e dalla carestia. L’ha sempre detto la sindaca Giusi Nicolini, «Lampedusa deve essere l’avamposto dell’Europa», un laboratorio umanitario.
Quel 3 ottobre 2013 l’isola si svegliò nell’angoscia. Con le imbarcazioni della Guardia Costiera che sbarcavano corpi avvolti nei teli di plastica e le testimonianze dei superstiti su quel naufragio a poche decine di metri dalla riva. Il numero di corpi recuperati nei giorni seguenti cresceva sempre di più, al tempo stesso cresceva anche quello dei politici che arrivavano in processione nell’isola a testimoniare un’assenza palese, evidente, delle istituzioni italiane ed europee, soprattutto, che preferivano trincerarsi dietro la salvaguardia delle frontiere.
«Noi oggi abbiamo ribaltato lo slogan di Frontex, vogliamo proteggere le persone, non i confini», dice Imma Carpiniello, una ragazza napoletana che fa parte del Comitato 3 ottobre che ha promosso insieme al Ministero dell’Istruzione L’Europa inizia a Lampedusa, tre giorni di workshop e di incontri sul tema dell’immigrazione e dei diritti dei rifugiati. «Ma noi vogliamo andare oltre l’accoglienza perché il nostro obiettivo è lottare per tenere aperte strade sicure di accesso per i migranti», continua Imma mentre marcia verso la Porta d’Europa.
In questi giorni Lampedusa è stata al centro dell’attenzione pubblica. Il Prix Italia e quindi lo sbarco di artisti e dirigenti Rai, la proiezione di documentari, come quella di ieri sera di Fuocammare di Gianfranco Rosi (stasera su Rai Tre). Per molti lampedusani era la prima volta e l’emozione è stata grande. Il documentario che ha vinto l’Orso d’Oro a Berlino e che è candidato agli Oscar, racconta il dramma dei migranti anche dal punto di vista degli isolani. Indimenticabili le figure di Pietro Bartolo, il medico che ha curato migliaia di migranti e che adesso ha scritto un libro (Lacrime di sale con Linda Tilotta, Mondadori) e di Samuele il bambino che, intervistato dalla Rai, ha detto sicuro di sé : «Voglio rimanere nell’isola, io non andrò mai via da Lampedusa».
La cultura ha contribuito a creare un’atmosfera di scambio e di partecipazione. Molto importante la mostra che ha inaugurato il 3 giugno il Museo della Fiducia e per il dialogo nel Mediterraneo: un viaggio attraverso opere che vanno dall’amorino dormiente del Caravaggio – come il piccolo Aylan sulla spiaggia di Bodrun – alle opere provenienti dal museo del Bardo di Tunisi, del Paul Getty Museum di Malibù, dal Mucem di Marsiglia e poi le fotografie di Federico Patellani e gli scatti sociali di Mauro Pagnano e i disegni dei piccoli naufraghi Adal e Sherazade. Mauro Pagnano ha partecipato in questi giorni anche all’esposizione Destinazioni negate (con Roberto Salomone, Giuseppe Carotenuto, Mauro Buccarello, Francesco Malavolta) portando un suo lavoro sul Messico.
«Un’altra visione altrettanto drammatica di chi attraversa il centroamerica per arrivare negli Stati Uniti», dice Pagnano mentre anche lui partecipa alla Giornata della Memoria. «C’è un bel clima oggi nell’isola. Ci sono tanti lampedusani che in quei giorni del 2013 accolsero nelle loro abitazioni i migranti superstiti, è bellissimo vedere il legame che è rimasto tra di loro». E sono proprio gli abitanti delle terre dove approdano i migranti il soggetto del suo prossimo lavoro «invertendo il punto di vista», dice il fotografo.
Ma mentre si celebra a Lampedusa la Giornata della Memoria delle vittime di immigrazione, a nemmeno un chilometro dalla Porta d’Europa l’hot spot – ex centro di prima accoglienza – è ancora affollato di migranti. Là, in Contrada Imbriacola, la vita prosegue nell’estenuante attesa di una risposta che segnerà per sempre la vita di chi ha attraversato il mare rischiando di morire. Una condizione che pesa come un macigno.