Negli USA ormai la caccia al negro da parte delle forze dell’ordine è all’ordine del giorno. Il colore della pelle è il più significativo indizio per meritarsi un’esecuzione sommaria in mezzo alla strada: pallottole in corpo e al massimo qualche moglie o fidanzata che si strappa i capelli urlando l’innocenza e l’esagerazione del gesto. Loro, i poliziotti, a volte succede che addirittura sorridano confidando in una giustizia indulgente verso chiunque indossi una divisa. Quando un poliziotto americano ammazza un negro noi, qui in Italia, fingiamo un briciolo di disagio per qualche minuto e poi basta. Del resto siamo in pochi ad avere negri in casa.
Qui da noi invece siamo più evoluti: i negri sono tutti coloro che non hanno (o mostrano di non avere) la possibilità di alzare la voce. Tossici, piccoli spacciatori, disoccupati incazzati e “zecche” di sinistra sono negri al di là del loro colore. Le forze dell’ordine troppo spesso sono state spericolate e vigliacche: se sanno di avere formalmente tutte le carte a posto sfogano sui manganelli un odio sociale covato da anni di ignoranza, umiliazioni (subite mica dai negri ma dalla politica e dalla catena di comando) e patetico spirito di vendetta. Anche loro in fondo sanno che la giustizia deve riuscire a gare giri lunghi e tortuosi per toccare un uomo in divisa. Così anche loro ridono, lavorano, fingono.
I nostri negri hanno la faccia di Stefano Cucchi: vittime rase al suolo da chi (da appartenente alle forze dell’ordine) sa che la Ragion di Stato e una condanna giusta sono lontane a venire qui da noi. Qui però non ci sono manifestazioni. No.
Buon mercoledì.