Nessuno ha scoperto l’America. Quando Cristoforo Colombo sbarcò nelle Antille il 12 ottobre del 1492 ben 100 milioni di Americani vivevano già lì. Da millenni.
Appena squillò la tromba,
tutto era pronto sulla terra,
e Geova divise il mondo
tra Coca-Cola Inc., Anaconda,
Ford Motors, e altre società
Canto General di Pablo Neruda
Quando Colombo “scopre” il Nuovo Mondo, in verità, ha inizio il più grande eccidio della storia dell’umanità. Tra epidemie, guerre, assassinii, schiavitù, espropri e fame, la dominazione europea costa agli indigeni tra le 50 e le 114 milioni di vite.
La festa dei dominatori. Gli italoamericani, orgogliosi del fatto che sia stato un navigatore italiano a compiere la più grande scoperta della storia, la chiamano Columbus Day, il il Giorno di Colombo. Il 12 ottobre l’Empire State Building di New York City accende le sue luci riproducendo il tricolore italiano. E in tutti gli Stati Uniti, banche, uffici postali e uffici federali sono chiusi, così come gli uffici dell’ambasciata italiana a Washington D.C. e i vari consolati italiani che si trovano nel Paese. Fu il presidente Franklin Delano Roosevelt a stabilire che il Giorno di Colombo diventasse festa nazionale in tutti gli States. Dal 1971, la ricorrenza è fissata per il secondo lunedì del mese di ottobre.
In Spagna il franchista “Día de la Raza”, dal 1958, è mutato in Día de la Hispanidad ed è festa nazionale. I tempi cambiano, e oggi sui social network la voce spagnola è quella di Pablo Iglesias: «Ai nostri amici latinoamericani: siamo orgogliosi della vostra indipendenza e di poterci guardare negli occhi».
A nuestros amigos latinoamericanos: estamos orgullosos de vuestra independencia y de que podamos mirarnos a los ojos. #MiPatriaEsLaGente pic.twitter.com/bhayJYoLaU
— Pablo Iglesias (@Pablo_Iglesias_) 12 ottobre 2016
In Costarica lo chiamano “Día de las Culturas” (giorno delle culture) e si festeggia con un carnevale l’unione della cultura spagnola, indigena e afro-caraibica. In Messico si portano fiori ai piedi del monumento alla razza situato a Città del Messico e, tra canti e balli, gli indigeni alzano le loro voci nella Piazza dello Zocalo. In Colombia si festeggia nelle scuole, dove con delle opere teatrali rappresentano il significato che questo giorno ha avuto per la storia. In Argentina, dal 1917, il 12 ottobre è il giorno della riaffermazione dell’identità ispanoamericana di fronte agli Stati Uniti, e lo chiamano il Día della Resistencia de los Pueblos Originarios (giorno della resistenza dei popoli originari). Ma è il Venezuela di Hugo Chávez che, dal 2002, cambia profondamente il senso di questa data: chiamando la festa Día de la Resistencia Indígena (Giorno della resistenza indigena), perché non lo considera come la data di una scoperta, ma come la commemorazione della resistenza aborigena contro l’invasione spagnola.
Nei decenni 1491-1550 per effetto delle malattie tra l’80% e il 95% della popolazione indigena delle Americhe perse la vita: un decimo dell’intera popolazione mondiale di allora (500 milioni circa). La prima malattia nel Nuovo Mondo, causata da un germe dell’influenza dei suini, nel 1493 a Santo Domingo, annientò la popolazione: da 1.100.000 a 10.000 abitanti.
Poi il vaiolo, che destabilizzò l’impero Inca favorendo la campagna di conquista di Francisco Pizarro e il massacro della popolazione. E dopo ancora il morbillo e le epidemie che giungevano dall’Africa insieme ai nuovi schiavi. E ancora, alla ricerca di oro, bruciavano villaggi sterminando le intere popolazioni e facendo prigionieri e schiavi. Infine, dove non uccisero le malattie, lo fecero le armi, la schiavitù, la deportazione, i lavori forzati e la fame.
Oggi si contano più di 800 popolazioni indigene, per una popolazione di circa ai 45 milioni di persone dove i governi progressisti riconoscono i loro diritti.