Non è vero che ci vuole molto tempo per fare le leggi. Quelle del governo sono velocissime. E sono quasi tutte del governo. Con Vincenzo Smaldore di Openpolis facciamo il punto con dati e numeri. Alla fine la revisione dà l'ufficialità al trend già esistente: lo strapotere dell'esecutivo nel fare le leggi.

“Sarà molto più veloce fare le leggi”. Questa è una delle tante dichiarazioni-spot del comitato per il Sì al referendum. Ma la revisione costituzionale non cambia sostanzialmente nulla dal punto di vista dei tempi dell’iter legislativo. Anche perché bisogna metterci in testa una volta per tutte che è soprattutto il governo che fa le leggi, non il Parlamento, a cui toccano davvero le briciole. E quando vuole, il governo è velocissimo. Il problema se mai viene dopo, con i decreti attuativi delle leggi approvate, che non arrivano, ma questo è un altro discorso…

Sono importanti i dati raccolti da Openpolis l’associazione che cura da anni un osservatorio civico con il monitoraggio capillare dell’attività parlamentare e che offre sempre puntuale la radiografia dei lavori parlamentari. Sul referendum Openpolis sta raccogliendo materiale fondamentale per poter comprendere dove va a inserirsi questa riforma costituzionale. Nella XVII legislatura a inizio settembre su 6.729 proposte di legge depositate sono arrivate in fondo all’iter 243, cioè il 3,61 del totale. Tra queste 195 sono proposte del governo, mentre quelle parlamentari sono solo 46. Mentre per le proposte di leggi di iniziativa governativa ci è voluto in media sei mesi per approvarle, per le altre parlamentari i tempi si sono allungati fino a una media di un anno e mezzo. Comunque si va dai 6 ai 17 mesi.

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Vincenzo Smaldore, responsabile dei contenuti di Openpolis è lapidario: «Se c’è la volontà politica l’approvazione avviene in tempi rapidi». E il governo sfruttando  lo strumento del decreto legge contingenta i tempi: occorrono infatti 60 giorni perché ci sia la conversione in legge da parte del Parlamento. Tutti i temi importanti e “sensibili” come il Jobs act, la Buona scuola, portano naturalmente la firma del governo e non del parlamento. Cosa rimane allora ai 630 deputati e ai 315 (finora) senatori? «Le leggi pro forma: per esempio per far funzionare le commissioni d’inchiesta occorrono delle leggi, ma sono adempimenti formali, non c’è una discussione», dice Smaldore. Oppure leggi per le celebrazioni di personaggi come Boccaccio o l’anno dantesco. Oppure ancora leggi su temi che non hanno una immediata ricaduta, come quella piuttosto discussa sul reato di negazionismo (1180 giorni) o il ddl antisprechi (1015 giorni). Dall’altra parte si è faticato molto anche su due leggi fondamentali per la XVII legislatura come si legge nello speciale referendum di Openpolis: l’Italicum e la revisione costituzionale (oltre 700 giorni), ma in questo caso l’argomento era fortemente divisivo.

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È il governo che nelle ultime legislature ha in mano il potere legislativo. «Non a caso un altro nostro dossier si chiamava Premierato all’italiana», continua Smaldore. «Manca l’ufficialità, ma da un pezzo si sta andando in questa direzione, per cui è più forte il ruolo del governo e del presidente del consiglio. E nella revisione costituzionale questo trend viene mantenuto». Anzi. Nella riforma Renzi-Boschi si dà, in un certo senso, quell’ufficialità che mancava, per cui è vero che per i decreti legge vengono previsti dei limiti (poi è tutto da decidere) ma per contro viene introdotta la norma del “voto a data certa” per cui entro 70 giorni la Camera deve votare il provvedimento governativo considerato essenziale per l’attuazione del programma di governo. È un po’ una ratifica di quanto sta già accadendo.

«Per il fronte del Sì, questo porterà benefici visto che ci sono strumenti ad hoc, per il No invece si tratta di un avvicinamento all’oligarchia», continua Smaldore. Continuerà anche il sistema dei maxiemendamenti da approvare con voto di fiducia, in cui spariscono tutti gli emendamenti che le commissioni avevano proposto per la conversione in legge del decreto legge. E poi ci sono le leggi delega, per le quali il Parlamento affida in toto al Governo il suo potere legislativo. «Per esempio sul decreto sulla pubblica amministrazione Madia, il governo ha fatto quel che gli pareva, anche se nelle deleghe si fissano delle cornici entro le quali ci si deve muovere, ma nella prassi davvero l’esecutivo fa quel che vuole», conclude il responsabile di Openpolis. Insomma, non è vero che i tempi sono lunghi – perché volendo sono rapidissimi – e non è vero che il governo ha le mani legate con questo Parlamento, visto che la stragrande maggioranza delle leggi arrivano da Palazzo Chigi.