Capelli corti, occhi blu, una qualche somiglianza con Audry Hepburn, sorriso timido e 24 anni “portati come si porta un maglione su un paio di jeans” (direbbe Guccini). Si presenta così Sarah Andersen, illustratrice di Brooklyn e fenomeno editoriale del momento. Sarah infatti, oltre un milione di followers su facebook, è l’autrice di “Adulthood is a myth” - appena pubblicato in Italia con il titolo “Crescere che palle” da Becco Giallo - una raccolta di strisce a fumetti che racconta la sua vita di tutti i giorni. Scarabocchi, così li definisce lei, che narrano con ironia e delicatezza di imbarazzi, ansie, piccole paranoie e improvvisi minuscoli frammenti di felicità, identici, in tutto e per tutto, a quelli di ogni ragazza della sua età. Quando la incontriamo a Roma, in un bar - libreria del quartiere Pigneto, ha appena finito di firmare dediche sulle copie del suo ultimo libro a decine e decine di ragazzi accorsi per sentirla parlare e soprattutto per vederla disegnare. È visibilmente stanca dopo essere stata a Lucca Comics and Games, eppure si dedica volentieri a fare due chiacchiere con noi, curiosi di conoscere il segreto del suo successo.
Quando hai iniziato a disegnare?
Sin da quando ero bambina, ho cominciato quando avevo più o meno 14 15 anni e poi verso i 19 ho cominciato a metterli online.
Perché hai scelto di metterli online?
Mi annoiavo al lavoro, quindi ho iniziato a fare degli scarabocchi su Microsoft Paint e li ho messi su internet. Quindi è stata semplicemente un’opportunità che mi sono data credo.
Come mai hai deciso di raccontare proprio la tua quotidianità?
Ho pensato che le cose che mi riguardavano potevano essere anche universali, simili a quelle che vivono più o meno tutte le ragazze della mia età. Attraverso questo fatto ho poi capito che potevo essere una brava fumettista e questo mi ha spinto a continuare.
Il tuo lavoro riesce ad essere estremamente empatico. Qual è l’elemento che ti permette di entrare in comunicazione con gli altri e creare questa empatia con il pubblico?
In effetti, per quanto si tratti di scarabocchi, lavoro molto per disegnare strisce che sviluppino una connessione e un’empatia con il pubblico. Quando ho messo online per la prima volta i miei disegni, anche se erano molto brutti, ho avuto un’ottima risposta da parte delle persone e questo mi ha fatto capire che le mie storie funzionavano, che ero sulla strada giusta e dovevo continuare.
Il titolo originale della tua raccolta di strisce è “Adulthood is a myth”. Che cosa significa per te diventare adulti?
Essere adulti è prima di tutto un’idea. È quell’idea per cui ad un certo punto arriva un momento della vita in cui ti senti sicuro di te. Penso che molte persone ambiscano a questa sicurezza, ma che nella realtà dei fatti in pochi riescano ad ottenerla... anche perché è una cosa che non esiste veramente.
Credi che i tuoi disegni riescano a scardinare questo falso mito? A far capire che anche quando si cresce ci si può sentire insicuri o fragili e che queste sensazioni dopo tutto sono normali e fanno parte della vita?
Sì, credo sia proprio così e credo che sia importante parlare di queste sensazioni. Raccontarle con delle strisce a fumetti è un modo per normalizzarle e per drammatizzare.
Nel raccontare il diventare grandi ti concentri anche sull’essere donna e sulle insicurezze che molte donne hanno: il sentirsi troppo grassa, troppo magra, troppo goffa, l’imbarazzo di fronte a una persona che ci piace...
Parlare di queste cose ha un effetto positivo sul pubblico, soprattutto perché molto spesso (e per molti anni) abbiamo associato l’essere donna all’idea della perfezione. Dovevamo essere perfette. Oggi credo che invece sia giusto imparare ad abbracciare l’imperfezione.
A Lucca Comics il tuo libro è stato un vero successo, il più venduto fra quelli pubblicati da Becco Giallo, e in generale fra quelli dell’intera fiera.
È stata una sorpresa fantastica vedere che il mio lavoro era apprezzato così tanto anche dal pubblico italiano. Non mi aspettavo di riuscire a creare anche qui tutto questo entusiasmo attorno alle mie strisce.
Ma come fa una ragazza giovanissima e armata solo della sua matita riesca in pochissimo tempo a conquistare 1milione e 300 mila followers su facebook?
Semplicemente credo che le persone si ritrovino nei miei fumetti.
Nessuna formula segreta insomma?(ride) no, solo passione in quello che faccio, nessuna formula magica.
E nonostante questo successo travolgente, continui a chiamare i tuoi disegni “scarabocchi”. Come mai questo understatement?
Quando ho iniziato erano effettivamente degli scarabocchi su Microsoft Paint e anche successivamente ho continuato a considerarli tali e a mantenere più o meno quello stesso stile.
E anche se lei dice, umile più che mai, che non c’è nessun segreto e non esiste alcuna formula magica, noi invece siamo sicuri di aver svelato l’arcano: il segreto del successo di Sarah Andersen è sicuramente Sarah Andersen.
Si ringrazia Chiara Sfregola per la traduzione
Capelli corti, occhi blu, una qualche somiglianza con Audry Hepburn, sorriso timido e 24 anni “portati come si porta un maglione su un paio di jeans” (direbbe Guccini). Si presenta così Sarah Andersen, illustratrice di Brooklyn e fenomeno editoriale del momento. Sarah infatti, oltre un milione di followers su facebook, è l’autrice di “Adulthood is a myth” – appena pubblicato in Italia con il titolo “Crescere che palle” da Becco Giallo – una raccolta di strisce a fumetti che racconta la sua vita di tutti i giorni. Scarabocchi, così li definisce lei, che narrano con ironia e delicatezza di imbarazzi, ansie, piccole paranoie e improvvisi minuscoli frammenti di felicità, identici, in tutto e per tutto, a quelli di ogni ragazza della sua età. Quando la incontriamo a Roma, in un bar – libreria del quartiere Pigneto, ha appena finito di firmare dediche sulle copie del suo ultimo libro a decine e decine di ragazzi accorsi per sentirla parlare e soprattutto per vederla disegnare. È visibilmente stanca dopo essere stata a Lucca Comics and Games, eppure si dedica volentieri a fare due chiacchiere con noi, curiosi di conoscere il segreto del suo successo.
Quando hai iniziato a disegnare?
Sin da quando ero bambina, ho cominciato quando avevo più o meno 14 15 anni e poi verso i 19 ho cominciato a metterli online. Perché hai scelto di metterli online?
Mi annoiavo al lavoro, quindi ho iniziato a fare degli scarabocchi su Microsoft Paint e li ho messi su internet. Quindi è stata semplicemente un’opportunità che mi sono data credo. Come mai hai deciso di raccontare proprio la tua quotidianità?
Ho pensato che le cose che mi riguardavano potevano essere anche universali, simili a quelle che vivono più o meno tutte le ragazze della mia età. Attraverso questo fatto ho poi capito che potevo essere una brava fumettista e questo mi ha spinto a continuare. Il tuo lavoro riesce ad essere estremamente empatico. Qual è l’elemento che ti permette di entrare in comunicazione con gli altri e creare questa empatia con il pubblico? In effetti, per quanto si tratti di scarabocchi, lavoro molto per disegnare strisce che sviluppino una connessione e un’empatia con il pubblico. Quando ho messo online per la prima volta i miei disegni, anche se erano molto brutti, ho avuto un’ottima risposta da parte delle persone e questo mi ha fatto capire che le mie storie funzionavano, che ero sulla strada giusta e dovevo continuare.
Il titolo originale della tua raccolta di strisce è “Adulthood is a myth”. Che cosa significa per te diventare adulti?
Essere adulti è prima di tutto un’idea. È quell’idea per cui ad un certo punto arriva un momento della vita in cui ti senti sicuro di te. Penso che molte persone ambiscano a questa sicurezza, ma che nella realtà dei fatti in pochi riescano ad ottenerla… anche perché è una cosa che non esiste veramente. Credi che i tuoi disegni riescano a scardinare questo falso mito? A far capire che anche quando si cresce ci si può sentire insicuri o fragili e che queste sensazioni dopo tutto sono normali e fanno parte della vita?
Sì, credo sia proprio così e credo che sia importante parlare di queste sensazioni. Raccontarle con delle strisce a fumetti è un modo per normalizzarle e per drammatizzare. Nel raccontare il diventare grandi ti concentri anche sull’essere donna e sulle insicurezze che molte donne hanno: il sentirsi troppo grassa, troppo magra, troppo goffa, l’imbarazzo di fronte a una persona che ci piace…
Parlare di queste cose ha un effetto positivo sul pubblico, soprattutto perché molto spesso (e per molti anni) abbiamo associato l’essere donna all’idea della perfezione. Dovevamo essere perfette. Oggi credo che invece sia giusto imparare ad abbracciare l’imperfezione.
A Lucca Comics il tuo libro è stato un vero successo, il più venduto fra quelli pubblicati da Becco Giallo, e in generale fra quelli dell’intera fiera.
È stata una sorpresa fantastica vedere che il mio lavoro era apprezzato così tanto anche dal pubblico italiano. Non mi aspettavo di riuscire a creare anche qui tutto questo entusiasmo attorno alle mie strisce. Ma come fa una ragazza giovanissima e armata solo della sua matita riesca in pochissimo tempo a conquistare 1milione e 300 mila followers su facebook?
Semplicemente credo che le persone si ritrovino nei miei fumetti. Nessuna formula segreta insomma? (ride) no, solo passione in quello che faccio, nessuna formula magica. E nonostante questo successo travolgente, continui a chiamare i tuoi disegni “scarabocchi”. Come mai questo understatement?
Quando ho iniziato erano effettivamente degli scarabocchi su Microsoft Paint e anche successivamente ho continuato a considerarli tali e a mantenere più o meno quello stesso stile.
E anche se lei dice, umile più che mai, che non c’è nessun segreto e non esiste alcuna formula magica, noi invece siamo sicuri di aver svelato l’arcano: il segreto del successo di Sarah Andersen è sicuramente Sarah Andersen.