Lydia, Tina, Hamdiatu ed Esther sono giovani ghanesi destinate al matrimonio come tutte le loro coetanee, ma scelgono di diventare piloti di aereo e frequentano la scuola di aviazione AvTech gestita da un docente inglese. Le giovani, oltre a superare i limiti di una cultura (la propria) che le vorrebbe soltanto mogli e madri, si scontrano con i residui del pensiero coloniale, che tuttora alimenta pregiudizi reciproci tra africani ed europei.
Sonita è una giovane rapper afghana della periferia di Teheran che preferisce il canto al matrimonio, sfidando le leggi di Stato (in Iran cantare da solisti è proibito) e le leggi della famiglia, che la vorrebbe dare in sposa a “quello giusto” per 9000 dollari. Farah, invece, compie diciotto anni alcuni mesi prima della Primavera Araba tunisina e, invece di studiare medicina come vorrebbe la sua famiglia, canta in un gruppo musicale di protesta, mettendo in pericolo la sua vita e quella dei suoi cari.
Hong è una ragazza cinese, figlia del boom economico asiatico, che ama l’arte e vive a Roma condividendo la casa con una settantenne nata in Eritrea, con cui, nel tempo, costruisce un’amicizia inaspettata e piena di sorprese.
Tutte queste donne sono le protagoniste dei film presentati al Karawan Fest di Roma, che aprirà i battenti il 24 novembre nel parco di Villa de Sanctis, a Tor Pignattara.
Il festival, che è alla sua quinta edizione, propone una rassegna annuale di film etnici ed è – citando la descrizione sul loro sito – «il primo (e unico) festival di cinema che affronta i temi della convivenza, dell’identità, dell’incontro tra culture in tono programmaticamente non drammatico», laddove «il sorriso è il terreno di incontro naturale tra le diverse culture del mondo, “il luogo” ideale in cui scompaiono le differenze e ci si riscopre umani». Il progetto Karawan prende avvio da un gruppo di promotori culturali di Tor Pignattara e vuole diventare, per i quattro giorni l’anno di proiezioni, il cinema di quartiere che manca. Tor Pignattara, infatti, oggi non ha né cinema, né biblioteche, né teatri ed è uno dei quartieri più popolosi della città, in continua trasformazione per la presenza di numerose comunità etniche sul territorio.
Il Karawan Fest, inoltre, si inscrive all’interno del progetto diffuso nel quartiere e nelle zone limitrofe di riappropiazione degli spazi pubblici, che sta coinvolgendo lo storico cinema Impero, l’Ecomuseo Casilino Ad Duas Lauros e il parco Villa de Sanctis, in cui si svolgerà il festival.
Il programma di quest’anno dà grande spazio al cinema etnico al femminile, sia per le storie raccontate, sia per la cospicua presenza di registe donne, e si associa alla campagna #NonUnaDiMeno cui dedicherà il 26 novembre il film Girls don’t fly della regista pluripremiata Monika Grassl.
Tra gli altri, saranno proiettati film di registe di fama internazionale come Leyla Bouzid, membro attivo dell’associazione dei giovani registi tunisini e figlia d’arte del regista tunisino Nouri Bouzid, che presenterà Appena apro gli occhi, il film sulla giovane cantante Farah. E Rokhsareh Ghaemmaghami, la regista iraniana vincitrice del Grand Jury Prize al Sundance Film Festival 2016 e del World Documentary Audience Award, che ha diretto Sonita, il film sulla rapper di Teheran.
All’interno della sezione “Making Heimat”, organizzata in collaborazione con il Goethe Institut di Roma, saranno proiettati numerosi film etnici tedeschi, che affrontano con ironia e lucidità le dinamiche sociali della Germania multiculturale di oggi. Oltre a Solino, che racconta le vicende di una famiglia italiana di migranti in Germania, verrà proiettato anche Kaddish for a friend, un film che trasferisce la questione palestinese a Berlino, dove Ali Messalam, un quattordicenne palestinese vissuto in un campo profughi con la sua famiglia, per essere accettato dai giovani arabi nella sua nuova città, vandalizza la casa di un anziano ebreo russo, che lo denuncia alla polizia. La necessità di evitare la deportazione sarà per Ali e per l’anziano signore un’occasione irripetibile per passare del tempo insieme e andare oltre la guerra ideologica.
Con Doris&Hong sarà presente in sala il regista Leonardo Cinieri Lombroso, che dal 2010 in poi ha scritto e diretto numerosi film e cortometraggi sulla migrazione e sulle culture asiatiche, come La città di Asterix, Through Korean Cinema e Southeast Asia Cinema – When the Rooster Crows.
Ospite d’eccezione sarà la graphic novelist Takoua Ben Mohamed, classe 91, nata in Tunisia e cresciuta in Italia, che rappresenta graficamente le difficoltà della G2 (la seconda generazione di immigrati) e al festival presenterà il suo libro Sotto il velo (edito da Becco Giallo) ed esporrà alcune tavole. Inoltre, in collaborazione con Civico Zero (il centro diurno per migranti minori di San Lorenzo), interverrà il fotografo ivoriano di fama internazionale Mohamed Keita, formatosi a Civico Zero, che esporrà il percorso espositivo di foto sui quartieri di Tor Pignattara e San Lorenzo dal titolo 2Il sole non cade mai, ma è l’uomo che si allontana”.
A un passo dal mausoleo di Elena e dalle catacombe di Marcellino e Pietro, per quattro giorni a partire da domani la Casa delle Culture di Villa de Sanctis accoglierà il pubblico, proponendo un fitto calendario di proiezioni intervallate da momenti di ristoro organizzati dal KarawanBistrot e tornerà ad essere, dopo un anno, il cinema che non c’è.
Qui il programma del festival, che abbiamo segnalato anche sul numero di Left di questa settimana.