Innanzitutto: Renzi sa perdere. Ma non sa vincere. Meglio: non sa vincere senza incappare poi in derive padronali che tanto piacciono ai governanti e a tanti governati. Ma si è dimesso, furbescamente subito, per chiudere in fretta la stagione sperando di ripulire in fretta i veleni. Eppure è lo stesso Renzi che fino a un minuto prima della chiusura delle urne ha distribuito prebende, elargito bonus a pioggia, che ha fatto le fusa a Confindustria e irriso i sindacati, che a urne ancora aperte ha annunciato la conferenza stampa (a proposito di “stabilità”, tra l’altro), che ha voluto trasformare una revisione costituzionale nell’ennesimo suffragio personale e che ha usato il Parlamento come inevitabile passaggio di ratifica di decisioni di Governo.
È tutta sua la sconfitta e il fatto che l’abbia riconosciuta nel suo discorso di dimissioni non ne sminuisce le responsabilità: la Buona Scuola, il Jobs Act, il decreto salva banche, una brutta legge elettorale e questa brutta riforma costituzionale sono la fotografia di un’epoca di Leopolde piene e urne vuote.
Poi c’è la Costituzione, ancora una volta sottoposta a un tentativo di riforma in nome di un’incapacità di governare con le regole. Almeno la Costituzione, almeno quella è salva. E forse sarebbe il caso di provare a non farci chiasso sopra. Basta, dice il referendum. Basta.