Gentiloni si è ripromesso di «facilitare» e nulla più il lavoro dei gruppi parlamentari nel raggiungimento di un accordo per la nuova legge elettorale, legge che (quasi) tutti reputano fondamentale per poter tornare alle urne. Su Left in edicola da sabato proviamo a fare il punto e capire quale possa esser l’esito di un lavoro che non si preannuncia certo facile. Anche perché – è evidente – determinerà i tempi per lo scioglimento della legislatura.
Più veloce si fa la legge, prima è probabile che si tornerà al voto.
Donatella Coccoli nel suo pezzo vi spiega cosa ci si aspetta dall’udienza della Corte costituzionale, fissata per il 24 gennaio, e cosa scriveranno nella loro memoria gli avvocati anti Italicum, come Felice Besostri. Vi dà conto della posizione della minoranza dem e del Movimento 5 stelle, e vi spiega nel dettaglio quali sono i modelli che vanno per la maggiore, a partire dal Mattarellum, un revival, con i suoi collegi.
In questi giorni si stanno recuperando le proposte depositate nel corso della legislatura e se ne stanno depositando di nuove. Una di queste, però, ha fatto accendere a molti più di una lampadina.
È facile, rapida (fatto caro a Renzi, che vuole il voto presto) e non smentisce completamente l’Italicum. L’ha annunciata il deputato Giuseppe Lauricella (uno che ha votato Sì), dem che presto la depositerà alla Camera. È l’uovo di colombo: l’Italicum si estende anche al Senato, si lascia il premio di maggioranza assegnato a chi supera il 40 per cento (alla lista) e si toglie però il ballottaggio (uno dei punti più delicati della legge, su cui si attende la bocciatura della Consulta). Se nessuno supera il 40 per cento, dunque, l’iper maggioritario Italicum si trasforma in un proporzionale. Il premio (e quindi, l’amata “governabilità”) scatterà infatti solo se si raggiunge il 40 per cento in entrambe le camere. Cosa francamente complicata, anche se si propone di effettuare il calcolo della soglia per il premio, anche per il Senato, su base nazionale. Lauricella ha spiegato nel dettaglio la sua proposta, che mantiene i capolista bloccati e le preferenze solo per chi segue, e mantiene anche le candidature plurime, diminuite però da 10 a 3. La ripartizione dei seggi sarebbe su base nazionale, per la Camera, con uno sbarramento del 3 per cento, e su base regionale, per il Senato, dove lo sbarramento è al 4.
Perché l’opera di Lauricella è politicamente interessante? Non perché Renzi e i dem siano diventati di colpo proporzionalisti e parlamentaristi. Renzi continua e continuerà a evocare il «sindaco d’Italia» e cercherà di arrivare al 40 per cento. Ma siccome tira una brutta aria e siccome – come nota Flavia Perina in un pezzo per Linkiesta, Bentornata Prima Repubblica – «il Piano A, quello del Partito della Nazione che metteva insieme il mondo e batteva l’antipolitica ai ballottaggi, è sfumato», la tentazione proporzionalista rappresenta l’uscita d’emergenza rispetto all’ariaccia anticipata dal referendum. Una legge che renderebbe il Pd (anche se Renzi non dovesse riuscire a replicare i fasti dell’Europee) pilastro principale dei prossimi governi. Tanto gli accordi post elettorali con la destra – abbiamo visto – reggono benissimo. E se poi si potrà fare anche con qualche forza di sinistra (ecco perché si spera in Pisapia) tanto meglio.