È un noir ironico, drammatico e spiazzante l’ultimo libro di Murakami pubblicato da Einaudi, Gli assalti alle panetterie. Composto da due racconti scritti in epoche diverse «è un lavoro molto complicato da illustrare» racconta Igor Tuveri, in arte Igort, che ha appena compiuto l’impresa. «Gli assalti alle panetterie, dal punto di vista visivo, non sono esattamente eventi epici», dice da illustratore. «Dovevo trovare una chiave tutta da inventare. Allora ho pensato di restituire le atmosfere noir di film gangster anni 50 ed è nato il filo narrativo che, immagine dopo immagine, corre parallelo alle situazioni che Murakami evoca». Ma soprattutto è emersa una tensione poetica nuova con atmosfere in bianco e nero realizzate con gli acquerelli. «Per farli ho impiegato dei mesi», ammette. «Ti devi far attraversare dalle storie. Ad un certo punto ho pensato che il libro non fosse illustrabile e sono entrato in crisi. Fortunatamente a Murakami il risultato finale è piaciuto. C’era anche il rischio che lui non le approvasse…».
Con le tue tavole il racconto acquista una particolare tridimensionalità drammatica, amplificando i riferimenti di Murakami ai Demoni di Dostoevskij. Un autore che appartiene anche al tuo percorso?
Murakami cita spesso Dostoevskij. È un riferimento serio, importante. Anche per me. La cultura russa è parte della mia formazione. Per giunta mi chiamo Igor. Qui mi ha aiutato a uscire dall’idea di un Giappone lunare che c’è in altri miei lavori. Come accennavi è emersa una certa tensione, che ha determinato scelte estreme da un punto di vista grafico e nelle inquadrature. La nuova stagione del romanzo illustrato è affascinante perché mette in contatto mondi che sono apparentemente distanti. Lavorando su questo testo ho pensato di chiedere a Murakami di scrivere qualcosa per me. Si aprono possibili incroci, sovrapposizioni. L’idea del meticciato mi piace molto, alimenta il mio mondo. In questo caso è stata una collaborazione in differita, sono due vecchi racconti di Murakami che ho reinventato visivamente, ma non escludo che possano nascere nuovi lavori assieme.
Rispetto a tutto ciò, My generation, pubblicato da Chiarelettere, rappresenta un nuovo esperimento. La parola si prende la scena in questa autobiografia scritta in modo icastico?
Non la definirei un’autobiografia, io non sono nessuno, non sono Marlon Brando. Parlo della mia generazione, uso me stesso per raccontare una parte della vita, ma soprattutto una scena culturale. Quando nasce un libro non conosci mai le vere ragioni, poi rifletti. A posteriori direi che il motivo è politico: volevo dire che la contro-cultura ad un certo punto si è auto organizzata diventando una valida alternativa al mainstream. È accaduto con David Bowie, con il punk, con i Talking Heads e la New Wave, che è venuta dopo, passando per il nuovo cinema tedesco o certo cinema italiano di cui ripercorro le prime mosse.
L’intervista continua su Left in edicola dal 23 dicembre