Le città a 5 stelle, Roma e Torino. La Campania di De Luca e la Puglia di Emiliano. Ma anche la Toscana, l’Emilia, il Veneto. Ecco dove avanzano le multiutility, che non parlano più di privatizzazioni, ma seguono ancora il profitto. A suon di fusioni

Multiutilty a Nord, multinazionali a Sud, shopping in borsa e attacco alle fonti: l’assedio all’acqua pubblica si fa sempre più stretto con buona pace del referendum del 2011. «La mappa delle privatizzazioni va letta dentro i processi di finanziarizzazione – ricostruiamo su Left in edicola da sabato 7 gennaio, con Corrado Oddi, del Forum italiano dei movimenti per l’acqua – e negli ultimi cinque anni sono stati distribuiti più dividendi che utili: è l’economia del debito, che finisce in tariffa non tanto in nome degli investimenti ma quanto, soprattutto, della rendita». Su Left cerchiamo di capire come e perché il ricorso alle multiutility favorisca la deterritorializzazione, «con i Comuni», continua Oddi, «e quindi i cittadini, che non contano più nulla». Così la questione dell’acqua è sempre più una questione di democrazia.

La mappa degli affari, che vi restituiamo, copre tutta Italia. I processi in corso vedono la multiutility emiliana Hera espandersi in Triveneto, la milanese A2A arrivare fino a Cremona, i genovesi di Iren che tentano di mettere le mani anche sull’acqua di Torino. Ci sono le grandi manovre, poi, di Acea, tra Toscana, Umbria, Lazio e Campania, mentre a vario titolo i francesi di Suez e Veolia (che già è dentro la calabrese Sorical e per il 59,6% in Idrosicilia) agiscono con la multiutility capitolina nel Mezzogiorno insidiando Aqp, l’acquedotto pugliese, con il progetto di una megamultiutility del Sud.

Attraverso processi di acquisizione, aggregazione e fusione, i quattro colossi quotati in borsa – A2A, Iren, Hera e Acea – puntano a inglobare tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici
. Gestioni distrettuali ultraregionali, le ha chiamate, un anno fa il presidente dell’autorità nazionale Energia Elettrica-Gas-Servizi Idrici. Tutto ciò serve a espandere il margine operativo dilatando la platea dei clienti e controllando le sorgenti più ricche. E secondo l’attivista romana Simona Savini questo, in fondo, non sarebbe altro che «il programma renziano: non si parla più esplicitamente di privatizzazione ma di fusioni e aggregazioni. In questo momento, per esempio, qui a Roma il Campidoglio è immobile e chi fa politica sono i vertici di Acea».

Questo articolo, e tutti gli altri, li trovi su Left in edicola dal 7 gennaio 

 

SOMMARIO ACQUISTA