Un bambino innaffia una pianta rinsecchita. Nonostante sembri ormai andata, il bimbo continua a darle acqua. Un gesto bello ma del tutto inutile sul piano pratico. È una scena di Tarkovskij e una splendida metafora dell’arte che non serve, materialmente, a niente, ma è linfa vitale per la nostra vita interiore. Come il regista stesso ha scritto in Scolpire il tempo, un libro in cui parlava del senso più profondo del fare arte e che ora torna in libreria in una nuova edizione curata dal figlio del regista, che come lui si chiama Andrej e che da anni si occupa dell’Istituto Tarkovskij di Firenze dove sono costuditi cinquemila documenti (compresi i diari scritti a mano dal regista russo), settemila fotografie, e moltissimo materiale video. Una straordinaria miniera per chi voglia studiare l’opera di Andrej Trakovskij. Una restrospettiva nello Spazio Alfieri invita a riscoprirla, dal 26 al 29 gennaio. Giovedì 19 gennaio, intanto, all‘Institut Français di Firenze viene presentato Andrej Tarkovskij, il ricordo, un omaggio al regista realizzato da Andrej A. Tarkovskij realizzato nel 1990, ma praticamente inedito. Sarà Charles H. de Brantes, direttore de l’Institut International Tarkovskiij di Parigi a presentarlo alle 18, prima del concerto su poesie di Arsenij e Andrej Tarkovskij, Un bianco, bianco giorno, interpretato dal vivo da Stefano Maurizi al pianoforte e da Consuelo Ciai, come voce recitante.
Proprio Firenze fu la città che il regista russo scelse come luogo di esilio dopo che nel corso degli anni Settanta arrivò alla dolorosa decisione di lasciare l’Unione Sovietica. Con lui c’era la moglie Lara mentre il figlio, Andrej rimase a Mosca, in ostaggio. Ebbe il permesso di uscire dall’Urss solo a 16 anni per andare a trovare il padre che a 54 anni stava morendo di cancro in in ospedale a Parigi.
In Italia Andrej Tarkovskij strinse amicizia con lo sceneggiatore e regista Tonino Guerra, con il quale condivideva un’idea di cinema evocativo e poetico. Mentre l’arte e i paesaggi della Toscana non furono solo uno sfondo, ma diventarono presenza viva in film come Nostalghia (1983) girato nelle antiche terme di Bagno Vagnoni, nell’abbazia scoperchiata di San Galgano, nelle terre di Piero della Francesca ad Arezzo, con una indimenticabile scena in cui Domiziana Giordano compare a Monterchi, di fronte alla Madonna del parto.
La pittura è sempre stata una passione del regista, che al più grande pittore di icone russe Andrej Rublev (1966) dedicò un film bellissimo, che si presentava anch’esso come riflessione sul senso più profondo dell’arte. Quando lo girò Andrej Tarkovskij aveva solo 33 anni. Lavorò alla sceneggiatura insieme ad Andrej Michalkov-Konchalovskij ma il film fu osteggiato dalla burocrazia russa e non riuscì a circolare. Fu distribuito in Occidente solo anni dopo. Lo si potrà rivedere su grande schermo a Firenze grazie a questa preziosa rassegna nello Spazio Alfieri, storico spazio del cinema d’autore. Verrà riproposto, fra molti altri capolavori di Tarkovskij , insieme al coraggioso L’infanzia di Ivan, (1962) che sfidava i dogmi del realismo socialista imperante allora in Unione Sovietica.
Ma da non perdere anche il fantascientifico Stalker, uno dei film più potenti e visionari di Tarkovskij., l’autobiografico Lo spcchio e il film testamento Il sacrificio (1986) che Tarkovskij girò in Svezia, nella terra di Ingmar Bergman che gli dedicò parole bellissime nel libro Lanterna Magica: «Quando il film non è un documento, è un sogno. Per questo Tarkovskij è il più grande di tutti. Lui si muove con assoluta sicurezza nello spazio dei sogni, lui non spiega e, del resto, cosa dovrebbe spiegare? È un osservatore che è riuscito a rappresentare le sue visioni facendo uso del più pesante e del più duttile dei media. Per tutta la mia vita ho bussato alla porta di quegli spazi in cui lui si muove con tanta sicurezza».