Si potrebbero riprendere molti clip dalla prima intervista concessa da Donald Trump a un canale televisivo. Si parla di molte cose e spesso il presidente si lascia andare a dichiarazioni improbabili. Poi ce n’è una molto grave. Trump dice più o meno: «La tortura funziona e se c’è gente che uccide gli americani, devo combattere il fuoco con il fuoco. Non vedo perché non usarla». Il presidente aggiunge che si consulterà con i suoi uomini dell’intelligence, il direttore della Cia Pompeo, il Segretario alla Difesa Mattis, ma «mi sono consultato e molte persone delle agenzie mi hanno detto che funziona». Il presidente aggiunge anche che occorre fare quel che è consentito dalla legge, ma «se mi chiedi se funziona, direi proprio di sì (absolutely)».
President Trump on waterboarding: “I feel it works,” but will rely on team’s guidance and do everything “legally.” https://t.co/89o6NhpsWh pic.twitter.com/vWoL5W2ycc
— ABC News (@ABC) 26 gennaio 2017
La domanda dell’intervistatore è il frutto di una bozza di ordine esecutivo presidenziale circolata ieri nella quale si parla di rimettere a pieno regime Guantanamo, riaprire le prigioni segrete Cia ed eventualmente pensare di ricominciare a usare tecniche come il waterboarding. Bozza che il portavoce della Casa Bianca dice non essere ancora un documento pronto da firmare.
Il tema della tortura è controverso per varie ragioni. Tralasciamo le convenzioni internazionali e l’idea che certe cose le fanno i barbari e che la differenza tra i barbari e la civiltà passa anche per come si trattano i prigionieri e come si fa la guerra. Questo per uno come Trump, evidentemente non conta molto. La questione è che le foto di Abu Ghraib e Guantanamo sono stati uno degli strumenti di propaganda cruciali per al Qaeda prima e l’Isis poi per dimostrare come l’Occidente sia il nemico del mondo islamico e per giustificare la propria brutalità. C’è bisogno di ricordare che i decapitati dei filmati dell’Isis sono sempre vestiti con una tuta arancione come i detenuti di Guantanamo?
Altre due cose che Trump dice nell’intervista sono: cominceremo a costruire il muro tra pochi mesi, poi lo faremo pagare, dopo, ai messicani; e che si, la quantità di gente presente alla sua inaugurazione è la più grande folla che abbia mai assistito alla cerimonia di giuramento del presidente. La seconda è una bugia senza appello. Quanto alla prima, il presidente messicano Pena Nieto ha ribadito che non se ne parla. Di ieri, del resto, anche l’annuncio di una commissione per investigare i brogli elettorali che avrebbero impedito al presidente di vincere il voto popolare. Aspettiamoci un tentativo di restringere i diritti di voto delle minoranze in qualche forma.
Ma torniamo alla tortura. Davvero funziona?
La commissione del Senato che ha indagato sugli orrori degli anni in cui questa veniva usata dalla Cia sui prigionieri a Guantanamo e in giro per il mondo, segnala di no. L’operazione più importante di sempre in materia di anti terrorismo è l’uccisione di Osama bin Laden. In quel caso si arrivò al leader di al Qaeda seguendo per mesi le tracce del corriere che lo teneva in contatto con il mondo esterno, Abu Ahmed al Kuwaiti. Per individuarlo, furono utili le indicazioni di un detenuto. Questi collaborava, sostiene il rapporto del Congresso del 2014, e la Cia lo torturò senza motivo e solo dopo aver già avuto una serie di informazioni rilevanti per la individuazione di al Kuwaiti (qui tutto il rapporto, durante la redazione del quale ci furono diversi episodi di intimidazione nei confronti dello staff della senatrice Feinstein, che era a capo della commissione).
Un altro esempio è la scoperta di un attentato previsto nel 2003 al consolato Usa a Karachi. La Cia ha sostenuto di avere avuto le informazioni grazie alle torture su due detenuti passati dai servizi pakistani agli americani. La verità è che quelle informazioni erano già note ai servizi di Islamabad e che questi le passarono alla Cia assieme ai detenuti. Esempi così ce ne sono molti altri.
Il rapporto segnala una serie di elementi cruciali per valutare se e come la tortura sia stata utile: le tecniche usate erano più brutali di quanto ammesso dalla Cia, il programma non è mai stato adeguatamente monitorato, 26 detenuti sono stati torturati per sbaglio (non c’erano le condizioni, nemmeno volendo prendere per buono il programma), funzionari Cia hanno dato informazioni fuorvianti al COngresso sulla efficacia del programma, chi ha cercato di sostenere una tesi contraria, all’interno dell’agenzia di intelligence, è stato messo da parte.
In cosa consistevano le torture?
Waterboarding, ovvero simulazione di affogamento attraverso il versamento di acqua in gola e nelle narici a una persona sdraiata, legata e con gli occhi bendati. Deprivazione sensoriale, botte, deprivazione del sonno facendo ascoltare musica rock a tutto volume. E poi, ad Abu Ghraib, umiliazioni, vessazioni, maltrattamenti.
Cosa erano le prigioni Cia?
Negli anni della guerra totale al terrorismo gli Usa arrestavano (rapivano) persone sospettate di essere legate ad al Qaeda al di fuori della loro giurisdizione e senza chiedere mandati internazionali – a volte consultando la autorità locali, a volte no. La Cia aveva anche una serie di luoghi segreti nei quali torturava le persone o le deteneva al di fuori della legge statunitense in maniera da violare la legge, ma non sul territorio Usa. Spesso i prigionieri venivano passati ad altri servizi di Paesi dove i diritti umani non contano granché in maniera da consentire interrogatori ancora più brutali senza bisogno di autorizzazioni o di rimanere all’interno delle maglie degli ordini esecutivi firmati da Bush e dalla cornice legale che li autorizzava in materia di tortura.
Il caso Abu Ghraib
Nel marzo 2003 CBS diffuse delle foto che ritraevano i soldati-questurini del carcere di Abu Ghraib, in Iraq, umiliare e torturare i detenuti. Le foto generano una serie di violente reazioni nel mondo arabo e di condanne da parte delle organizzazioni che si occupano di diritti umani. L’amministrazione Bush sostenne che si trattava di casi isolati e di soldati che andavano puniti. Le inchieste successive segnalarono come l’uso di pene corporali e umiliazioni fosse diffuso ad Abu Ghraib come a Guantanamo.
I primi passi del programma di tortura della Cia
Pochi giorni dopo gli attacchi dell’11 settembre, il presidente George W. Bush autorizza la C.I.A. a catturare, detenere e uccidere membri di al Qaeda in tutto il mondo.
Febbraio 2002
Bush firma un ordine esecutivo che segnala che l’articolo 3 delle Convenzioni di Ginevra, che vieta “le mutilazioni, i trattamenti crudeli e la tortura,” non si applica ai prigionieri di al Qaeda o ai talebani.
Marzo 2002
Abu Zubaydah è il primo detenuto Cia e i suoi interrogatori vengono videoregistrati.
Agosto 2002
Una nota emessa da Jay S. Bybee, il capo dell’Ufficio del consulente legale del Dipartimento di Giustizia, dà la C.I.A. l’autorità di usare tecniche di interrogatorio “arricchite”, ovvero la tortura e il waterboarding.
Funzionari Cia usano il waterboarding almeno 83 volte su Abu Zubaydah. Nel rapporto del Senato si legge che ha fornito più informazioni nei primi mesi del suo interrogatorio – prima della tortura – che nei mesi in cui sono state utilizzate tecniche avanzate.