A Berlino, nel quartiere Mitte, c’è un monumento costruito per commemorare le vittime dell’Olocausto. È il Denkmal für die ermordeten Juden Europas, Memoriale della Shoah inaugurato nel 2004. A realizzarlo è stato l’architetto Peter Eisenmann. È un’opera piuttosto ingente: 19.000 metri quadrati (dove priva sorgeva un palazzo di proprietà di Goebbles il ministro della propaganda nazista) circa 2711 blocchi di cemento di diverse altezze e dimensioni disposti l’uno accanto all’altro a formare una selva oscura, un vero e proprio labirinto, razionale, grigio e soffocante. Una metafora piuttosto riuscita di quella "banalità del male", quella burocratizzazione e metodica razionalizzazione dell’assassinio, che aveva contraddistinto il Terzo Reich. Fra i monumenti eretti nel mondo in memoria del genocidio è uno dei più grandi per estensione, proprio per questo attira ogni anno un enorme numero di turisti. Turisti che, a tredici anni dall’inaugurazione del monumento, sembrano essere più concentrati sul design moderno e minimale, perfetto come sfondo per selfie da postare su facebook e instagram, che sull’effettivo significato storico del monumento.
Non è difficile infatti trovare persone che postano foto del genere:
Una foto pubblicata da posingwiththeholocaustmemorial (@posingwiththeholocaustmemorial) in data:
O video come questi:
Il paradosso è evidente e grottesco. Fare yoga, mettersi in posa sorridenti sperando di attirare pretendenti, fare parkour o giocare a nascondino non sono attività adatte a un luogo del genere.
Shahak Shapira, giovane artista israeliano-tedesco, ha scelto di sottolineare la perdita di memoria (e la mancanza di consapevolezza) che manifestano in particolare i selfie scattati al memoriale di Berlino e ha lanciato il sito yolocaust.de (dalla crasi fra YOLO, slang per You only live once, e Olocausto) dove con una serie di fotomontaggi accosta le immagini dei visitatori del monumento, assolutamente fuori luogo, a quelle storiche dei campi di concentramento in cui sono morte le vittime che l’opera vuole commemorare. Il sito è stato visitato da circa 2milioni e mezzo di persone fra queste le dodici che sono raffigurate nei selfie che Shahak ha "rubato" dal web (sì perché anche questa è stata una delle questioni sollevate da yolocaust.de).
«La maggior parte di loro - ha spiegato il giovane artista - hanno capito il messaggio si sono scusate e hanno deciso di rimuovere i loro selfie dai loro profili Facebook e instagram». Qui Shahak ha raccolto le reazioni delle persone al suo progetto.
Guardare queste foto fa ancora più impressione se si pensa al fatto che nemmeno un monumento di 19.000 metri quadrati riesce a farci ricordare abbastanza in modo persistente e indelebile la più grande tragedia della storia contemporanea. La memoria si conserva con l'esercizio, è un bene prezioso quanto fragile, darla per scontata è il primo passo per perderla.
A Berlino, nel quartiere Mitte, c’è un monumento costruito per commemorare le vittime dell’Olocausto. È il Denkmal für die ermordeten Juden Europas, Memoriale della Shoah inaugurato nel 2004. A realizzarlo è stato l’architetto Peter Eisenmann. È un’opera piuttosto ingente: 19.000 metri quadrati (dove priva sorgeva un palazzo di proprietà di Goebbles il ministro della propaganda nazista) circa 2711 blocchi di cemento di diverse altezze e dimensioni disposti l’uno accanto all’altro a formare una selva oscura, un vero e proprio labirinto, razionale, grigio e soffocante. Una metafora piuttosto riuscita di quella “banalità del male”, quella burocratizzazione e metodica razionalizzazione dell’assassinio, che aveva contraddistinto il Terzo Reich. Fra i monumenti eretti nel mondo in memoria del genocidio è uno dei più grandi per estensione, proprio per questo attira ogni anno un enorme numero di turisti. Turisti che, a tredici anni dall’inaugurazione del monumento, sembrano essere più concentrati sul design moderno e minimale, perfetto come sfondo per selfie da postare su facebook e instagram, che sull’effettivo significato storico del monumento.
Non è difficile infatti trovare persone che postano foto del genere:
Una foto pubblicata da posingwiththeholocaustmemorial (@posingwiththeholocaustmemorial) in data:
O video come questi:
Il paradosso è evidente e grottesco. Fare yoga, mettersi in posa sorridenti sperando di attirare pretendenti, fare parkour o giocare a nascondino non sono attività adatte a un luogo del genere.
Shahak Shapira, giovane artista israeliano-tedesco, ha scelto di sottolineare la perdita di memoria (e la mancanza di consapevolezza) che manifestano in particolare i selfie scattati al memoriale di Berlino e ha lanciato il sito yolocaust.de (dalla crasi fra YOLO, slang per You only live once, e Olocausto) dove con una serie di fotomontaggi accosta le immagini dei visitatori del monumento, assolutamente fuori luogo, a quelle storiche dei campi di concentramento in cui sono morte le vittime che l’opera vuole commemorare. Il sito è stato visitato da circa 2milioni e mezzo di persone fra queste le dodici che sono raffigurate nei selfie che Shahak ha “rubato” dal web (sì perché anche questa è stata una delle questioni sollevate da yolocaust.de).
«La maggior parte di loro – ha spiegato il giovane artista – hanno capito il messaggio si sono scusate e hanno deciso di rimuovere i loro selfie dai loro profili Facebook e instagram». Qui Shahak ha raccolto le reazioni delle persone al suo progetto.
Guardare queste foto fa ancora più impressione se si pensa al fatto che nemmeno un monumento di 19.000 metri quadrati riesce a farci ricordare abbastanza in modo persistente e indelebile la più grande tragedia della storia contemporanea. La memoria si conserva con l’esercizio, è un bene prezioso quanto fragile, darla per scontata è il primo passo per perderla.