Quindi alla fine si scopre che Alexandre Bissonnette, lo studente franco-canadese che ieri ha ucciso sei persone in una moschea di Quebec City, inneggiava a Trump, Marine Le Pen e alle forze di difesa israeliane. Xenofobo, insomma, oltre che criminale, accecato dall’odio religioso e razziale contro i musulmani: un jihadista, ma al contrario.
E così basta semplicemente invertire l’ordine degli elementi per osservare ancora una volta l’inceppamento patetico e tragico di uno schema d’odio che non sa cosa dire sulla strage canadese: la moschea al posto della chiesa, i musulmani piuttosto che i cattolici frenano le dita espansive di chi cavalca i morti per qualche zero virgola in più alle prossime elezioni. La banalità della violenza è un moccioso che ha bisogno di un mondo che gli assomigli perché è incapace di leggerlo; così ai destrorsi non riesce nemmeno un tweet di solidarietà finta. I politici leoni, ieri, cinguettavano patetici di tutt’altro.
E dove lo rimpatriamo allora il terrorista canadese? Lo infiliamo nei pantaloni di quelli che sono in tournée ad esaltare la superiorità cristiana con il mazzo da poker in mezzo ai denti? Lo prestiamo a quel politico verde chiedendogli di “portarselo a casa sua”? Chiediamo aiuto all’ex editorialista (di cui nessuno ha mai letto gli editoriali) che si è convertito un paio di volte alla ricerca dell’integralismo perduto (e di un seggio in Parlamento)?
Oppure, semplicemente, alziamo lo sguardo dalle miserie dell’odio e ci interroghiamo sulla violenza liberandoci delle categorie umane di cui ci vorrebbero ingozzare. Nel suo bel libro Tesi sulla violenza Friedrich Hacker scriveva che la violenza è semplice ma le alternative alla violenza sono complesse. C’è tantissimo da fare, quindi. Sapendo, sempre citando Hacker, che “la violenza è il problema di cui ritiene d’essere la soluzione”.
Buon martedì.