Strano ma vero, sul tema della garanzia del diritto allo studio si sono ritrovati d’accordo gruppi parlamentari di Sinistra italiana, Possibile, Movimento 5 Stelle e udite udite anche esponenti del Pd. «Grazie alla nostra proposta di legge, non per intese tra di loro», precisa sorridendo Andrea Torti coordinatore nazionale di Link-Coordinamento Universitario. Ma tant’è, in mezzo a tante divisioni, congressi, febbri e maldipancia preelettorali sembra un fatto positivo che alcune forze di opposizione – con innesti Pd – si schierino per un diritto fondamentale, sancito dalla Costituzione, agli art.34 e art.3. E cioè che tutti i capaci e meritevoli siano messi nella possibilità di studiare, con tanto di borse di studio – così si legge – e che gli ostacoli che impediscono lo sviluppo della persona umana debbano essere rimossi dallo Stato.
Ci piace ricordare questi principi perché lo Stato italiano se n’è dimenticato negli ultimi anni. Con la scusa della crisi e dei tagli orizzontali i governi di destra ma anche di sinistra hanno falcidiato il diritto allo studio. Così come le Regioni, alle quali è demandata una parte dei finanziamenti, non ce l’hanno fatta, anche perché hanno ricevuto meno risorse dallo Stato. Il risultato non è da poco: ci ritroviamo con una perdita di immatricolazioni e di abbandoni universitari che ci collocano nella blacklist europea. Negli ultimi dieci anni abbiamo perso circa 40mila matricole. I dati europei ci collocano agli ultimi posti per numero di laureati. E questo non è un dato da poco. Significa meno sviluppo della conoscenza, meno innovazione, meno crescita per quei territori che ospitano le università. Il rapporto tra lo studio e lo sviluppo economico non è uno sfizio radical chic, è un dato provato dai fatti. Non a caso risultano più in crescita le economie di quei Paesi che pur negli anni di crisi hanno investito nella scuola e nell’università e naturalmente nel mondo della ricerca.
Da soli gli studenti hanno lanciato un anno fa la campagna All in! Iniziando a raccogliere le firme per una legge di iniziativa popolare. La raccolta ha prodotto 57mila firme e adesso la proposta di legge è stata sottoscritta con le firme di un ampio schieramento politico. Oggi la presentazione alla Camera dei deputati con deputati di Sinistra italiana (Annalisa Pannarale), M5s (Gianluca Vacca) e altri di Possibile e anche del Pd. «Chiediamo al parlamento e a tutte le forze politiche di discutere e approvare questa proposta di legge» dicono i promotori di All in!. E intanto chiedono al nuovo ministro dell’Istruzione di convocare un tavolo «per definire i Livelli essenziali delle prestazioni del diritto allo studio dove porteremo le nostre proposte». Perché adesso, come spiega Andrea Torti, la situazione in Italia è a macchia di leopardo dove spicca il limbo in cui finiscono gli studenti idonei per il loro reddito familiare ma che non ricevono la borsa di studio perché non ci sono risorse. Dal 2002 al 2012 sono stati 25mila coloro che non hanno potuto usufruire di un aiuto per poter studiare. Qualche risultato nell’ultimo anno è stato raggiunto con l’innalzamento della soglia del modello Isee. «Quasi tutte le regioni si sono adeguate ad eccezione di due, Campania e Molise che sono ancora al di sotto dei 16mila euro», dice Andrea Torti. «Noi con la nostra proposta di legge abbiamo fissato il tetto massimo per tutti a 23mila euro. Su questo il governo può fare molto, non è necessario un grande sforzo». I promotori della campagna All inn! sottolineano il punto dolente del diritto allo studio in Italia: «l’ottica assistenzialista con cui le amministrazioni hanno fino ad oggi gestito la materia, quasi che vigesse la logica della «beneficenza» piuttosto che l’obbligo, da parte delle istituzioni, di garantire un diritto».
«La nostra legge ha più punti – continua Torti – occorre un grande finanziamento per far entrare il nostro Paese nei parametri europei e ma bisogna fare chiarezza nel finanziamento del diritto allo studio, comprese le competenze tra Stato e Regione. Bisogna fare in modo che le borse di studio in Italia vengano coperte tutte, e che la figura dello studente idoneo non beneficiario di borse di studio, vada eliminata. E questo il governo lo può fare, per questo abbiamo chiesto di convocare subito un tavolo sui Lep, i livelli essenziali di prestazione. Poi nella proposta chiediamo borse di studio per più studenti e quelli che hanno un reddito superiore al tetto previsto oggi, devono avere comunque i servizi del diritto allo studio, alloggi, mense». Non solo. Viene fatta anche la proposta di un reddito di formazione che già esiste in altri Paesi europei, «uno strumento per dare indipendenza agli studenti senza la logica familista come avviene ora in Italia» e che si intreccia, almeno idealmente, nel dibattito sul reddito di cittadinanza adesso al centro del dibattito di alcune forze politiche. Anche se la logica dell’assistenza ai poveri sembra prevalere su tutto il resto.
Secondo quanto riportato dall’ultimo rapporto sull’educazione dell’Ocse, si legge nella presentazione del testo di legge, «l’Italia spende per l’università circa lo 0,9 per cento del proprio Pil, di cui solo una quota pari allo 0,04 destinata al diritto allo studio e l’80 per cento degli studenti italiani non riceve una borsa di studio, in Francia la percentuale è del 70 per cento; la percentuale scende al 60 per cento in Germania, mentre in Olanda addirittura al 4 per cento». Da qui si comprende come in Italia vi sia uno dei tassi di abbandono universitario tra i più alti d’Europa, il 18,5 per cento, ben al di sopra di altri Stati come Olanda, pari al 7 per cento, o Gran Bretagna, pari all’8,5 per cento.
Ecco i nomi dei parlamentari che hanno sottoscritto il testo: Pannarale, Civati, Vacca, Giancarlo Giordano, Scotto, Airaudo, Bordo, Brignone, Costantino, D’Attorre, Duranti, D’Uva, Farina Daniele, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Luigi Gallo, Gregori, Kronbichler, Maestri, Marcon, Martelli, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pastorino, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciuti, Sannicandro, Zaratti.