Su Left in edicola uno speciale sul reddito di inserimento voluto dal governo italiano e su tutte le misure simili (e migliori) che esistono o vengono proposte in Europa

Cibo, casa, vestiario, trasporti. Per 4 milioni e 600mila italiani – il 7,6 per cento della popolazione – reperirli è un problema. L’Istat direbbe che non raggiungono standard di vita “minimamente accettabile” e cioè che versano in condizioni di povertà assoluta. Un fenomeno che è cresciuto del 155% dall’inizio della crisi economica, quando erano 1 milione e 800mila, dati 2007. Poi, ci sono più di 8 milioni e 300mila che consumano meno della media e versano, quindi, in condizioni di povertà relativa. Ognuno di loro, in buona sostanza, deve arrabattassi tra file e labirintici sportelli per ottenere aiuti, sostegni, carità anche. Perché l’Italia non ha alcuna forma di sostegno universale per chi rimane indietro. E da gennaio è rimasta l’unica in Europa, adesso anche la Grecia avrà il suo reddito minimo. Eppure di welfare universale in Italia se ne discute da 70 anni.

La situazione si comincia a muovere un anno fa, quando il governo Renzi riapre il percorso parlamentare con una legge delega per l’introduzione del Reddito d’inclusione. L’acronimo è Rei, il 2 febbraio sono scaduti i termini per la presentazione degli emendamenti alla commissione di Palazzo Madama, ed è assai probabile che verrà presto presentato al Senato così come uscito dalla Camera. Senza modifiche e senza altre perdite di tempo. Si tratta di un assegno mensile variabile dai 350 ai 450 euro a cui avrebbero diritto tutte le famiglie o i soggetti che vivono sotto la soglia di povertà, secondo l’indice Isee, con precedenza alle famiglie con minori, anziani e disabili. Una misura rivolta a tutti i poveri, fanno sapere dal governo. Tutti? Quasi, in verità. La nuova legge sui poveri, abbraccerebbe solo 1 milione e 400mila cittadini dei più di 4 milioni e mezzo in estrema difficoltà.

Delle soluzioni adottate in Grecia e in Finlandia, delle proposte di Benoit Hamon in Francia, di quanto la crisi in Grecia ci abbia insegnato senza però alcuno scolaro (ne abbiamo discusso con Andreas Nefeloudis, segretario generale del ministero del Lavoro greco): di tutto questo si compone il nostro primo piano di questa settimana, dedicato al reddito minimo. E cerchiamo di fare un po’ d’ordine tra le tante diciture: reddito di base, reddito minimo, reddito d’inclusione, misura anti-povertà. Anche perché le elezioni sono dietro la porta. E ne sentiremo delle belle.

Lo speciale integrale lo trovate su Left in edicola dal 4 febbraio

 

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