C’è la Boldrini che si inalbera per le offese sul web. Dice che l’odio quando si spalma sui social è più rarefatto ma ugualmente pericoloso, così come l’odio sui marciapiedi. E ha ragione. Eccome. Ho una lista di vigliacchetti da tastiera che mi scrivono scuse tentennanti sottoscritte dal proprio avvocato frignando come implumi distratti. Ma “l’odio del web” lei, la Boldrini, vorrebbe intestarselo, ci tiene a dirci che è la sua battaglia e da Presidente della Camera dei Deputati apre un sito come potrebbe fare uno qualsiasi per qualche spicciolo di euro.
C’è La Stampa (maiuscola) che si intesta la battaglia per la post-verità: dice che le bufale sono pericolose perché spostano i voti senza consapevolezza e premiano gli urlatori. Hanno ragione, per carità. Tutte le ragioni del mondo. La verità sta all’ecologia intellettuale di una società come l’ossigeno per i nostri polmoni. Ma denunciare non significa esserne detentori, questo no, per favore no: ritenersi portatori unici della verità è una bufala mitomane come quelle che ci si ritrova a denunciare. Mi pare.
Dice Grillo che l’onestà non è più di moda. E la storia di questo Paese (e i numeri, anche) gli danno tutte le ragioni del mondo. Ma ritenere l’onestà come requisito indispensabile della propria azione politica non significa certificare come onesti tutti i propri tesserati (o amici): Marra e Romeo sono nella migliore delle ipotesi due imbecilli, due furbi nell’ipotesi peggiore. L’onestà si pratica, con tutte le difficoltà del caso, senza appuntarsela sul petto. Mi pare.
Dice Renzi che il cambiamento è un valore. L’ha addirittura trasformato in un feticcio. E intanto ha fatto politica nel modo più vecchio (nel senso deteriore del termine) che si sia mai potuto immaginare. Così alla fine il cambiamento si è svuotato, è diventato un guscio secco e alla fine è finito per essere retorica buona per la spazzatura. Credere di essere l’unico cambiamento possibile è il modo migliore per essere portatore del peggiore vecchismo. Mi pare.
A sinistra (ancora) si combatte la guerra di chi ha la sinistra più lunga (e più a sinistra) rispetto agli altri. Ero un neonato quando i puri scacciavano i meno puri e intanto si finiva con percentuali da prefisso telefonico: chissà come saremo felici quando avremo trovato quello che è di sinistra purissima. Lui. Da solo.
Le battaglie non si intestano, si combattono. Pretendere di essere i portatori unici di una battaglia giusta finisce per trasformarla in una tenzone tra fazioni che ne svilisce il senso. Facciamo un patto: amatevi tutti un po’ meno e combattete un po’ di più. Sarà un Paese migliore. Credo.
Buon lunedì.