Ieri il tribunale di Bologna ha condannato a 26 anni e 10 mesi Nicola Femia, il boss che con il business del gioco d’azzardo ha impiantato pezzi di ‘ndrangheta in Emilia Romagna. Pene pesanti anche per i suoi figli, Rocco (15 anni, contro i 19 e sei mesi chiesti dall’accusa), e Guendalina (10 anni e tre mesi, la procura ne chiedeva 14), per il genero Giannalberto Campagna (12 anni e due mesi, a fronte di una richiesta di 15 anni). Nove anni a testa, inoltre, per Rosario Romeo e Guido Torello per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nicola Femia tra le altre cose è anche quel vigliacco che disse senza sapere di essere intercettato che bisognava “sparare in bocca” a Giovanni Tizian, allora giornalista della Gazzetta di Modena, che raccontava con ostinazione e analisi come la mafia da quel parti si spargesse tutto intorno. Fu lì che anche Giovanni cadde in questa rete di paure, protezioni, minacce infilate dentro al cervello e contemporaneamente le invidie e le delazioni di qualche “onesto”.
Ora la condanna a Femia restituisce almeno il senso di giustizia. Non tornano indietro i giorni ingrigiti dai pensieri, dalle auto blindate e dalle scorte armate. Quelle no. Ma sono sicuro che a Giovanni ieri è scappato un sorriso disteso.
E a Femia lo sparo gli è tornato indietro nel modo migliore: con la giustizia.
Buon giovedì.