Forse alla fine ce lo meritiamo uno come De Luca, che di fronte alla domanda sul presunto “scambio di favori” che vedrebbe suo figlio candidato alla Camera per le prossime elezioni politiche in cambio di un suo appoggio alla candidatura di Matteo Renzi come segretario del Pd risponde con un muso impietrito e muto come nelle peggiori fiction di camorra.
Forse ci meritiamo anche il fatto di avere avuto per più di mille giorni una squadra di governo che in gran parte stava tutta nel raggio di qualche decina di chilometri lì dove l’ex premier aveva fatto lo scout giusto per il gusto di rinfacciarcelo tutti i giorni insieme a don Milani.
In fondo siamo un Paese che sulle vicinanze si gioca gran parte delle dinamiche: se srotoliamo l’adolescenza della nostra classe dirigente ci ritroviamo dentro un nodo di amici magicamente trasformati in collaboratori e fiduciari.
Questi che parlano di meritocrazia (che è un feticcio falso come il cuoio in fibre plastiche) sono gli stessi che innalzano (anche se di nascosto, anche se simulando di non saperne) la fedeltà come elemento imprescindibile e non fa niente se le capacità sono inefficaci.
Un governo di “amici d’infanzia” e una squadra di sostenitori costruita sullo “scambio” è la fotografia degli uffici in cui avanzano i leccaculo, di dipartimenti che premiano i falsi cortesi, di aziende che falliscono passando ai figli, di consigli di amministrazioni che attraversano le ere senza cambiare mai i cognomi.
Si resiste alla povertà, è vero, ma anche al deserto etico. Di continuo.
Buon venerdì.