Il piazzista ha perso la verve e così la chiusura al Lingotto della Leopolda in bagna cauda non riserva nemmeno una delle scoppiettanti bugie per meritarsi un mezzo titolo sdraiato su giornali degli amici. Qualcuno scrive che Renzi non sia più lui e invece forse è proprio in stato di stress e usura che esce la sua natura: senza ridondanti storie da raccontare l’ex Presidente del Consiglio si sgonfia. Gli manca il lievito, poiché non ha un’idea di politica che non passi per forza dalla gestione (sua) del potere.
Il suo discorso di ieri è stata l’ennesima barbosissima (e biliosa) difesa del lavoro fatto (e quindi l’ennesimo rifiuto di riconnettersi con chi gli ha votato contro nel referendum del 4 dicembre scorso) e tutto un panegirico sul garantismo e sull’occupazione.
Il garantismo, innanzitutto, sembra la nuova ossessione renziana e fa niente che non ci sia nessuno di meno credibile come portabandiera dell’ipergarantismo di chi si ritrova sommerso (tra Lotti e babbo Renzi) proprio nel bel mezzo di un’inchiesta che lo travolge: il nuovo corso del Pd ricalca le orme dei berluscones (e non è una novità) condendoli con un po’ di cortesia istituzionale verso la magistratura. In mezzo alla retorica però arrivano due segnali più che preoccupanti: si fa avanti l’idea di secretare gli avvisi di garanzia per non “ledere” i diritti dell’indagato (chissà se Renzi, Migliore o Guerini sarebbero felici di iscrivere i propri figli in un asilo in cui c’è un maestro sospettato di pedofilia, senza saperlo) e si insiste nel volere che le indagini siano comunicate ai superiori (fino al Viminale) per, dicono loro, esigenze di coordinamento. In pratica si straccia il segreto investigativo in favore della politica e si istituisce il segreto di presunta colpevolezza in favore dell’indagato. Fate voi.
Poi, il lavoro. E sul lavoro, niente, Renzi non riesce proprio a non estrarre il feticcio di Marchionne, come ai bei tempi in cui qualcuno pensava che fosse solo un po’ di sano bullismo. E invece Marchionne è proprio la sua idea di lavoro, tanto che anche Pisapia non riesce a starsene zitto e interviene per dire che così non va.
Per carità, Renzi ha tutto il diritto di sostenere e divulgare le proprie idee. Un diritto però non può arrogarselo: quello di pronunciare con andatura canzonatoria il suo sarcasmo sulla sinistra, sulle macchiette e su “bandiera rossa”. Un mediocre democristiano (seppure travestito da futurista) non può banalizzare a proprio uso e consumo una storia di diritti e lotte distanti anni luce dalle beghe di questi scout in gita nei palazzi del potere. Questo no.
E mentre lui ironizza su “bandiera rossa” il suo fido Recalcati (Recalcati!) annuncia l’intitolazione della nuova scuola politica del Pd a Pier Paolo Pasolini. Pasolini, ricordate? Quello che scriveva, appunto, sulla bandiera rossa (in La religione del mio tempo, era il 1961):
«Per chi conosce solo il tuo colore, bandiera rossa,
tu devi realmente esistere, perché lui esista:
chi era coperto di croste è coperto di piaghe,
il bracciante diventa mendicante,
il napoletano calabrese, il calabrese africano,
l’analfabeta una bufala o un cane.
Chi conosceva appena il tuo colore, bandiera rossa,
sta per non conoscerti più, neanche coi sensi:
tu che già vanti tante glorie borghesi e operaie,
ridiventa straccio, e il più povero ti sventoli.»
Ecco. Buon lunedì.