Corruzione, mafie e malaffare hanno bisogno di una tensione tenuta sempre alta per essere combattute. La storia ci insegna che ogni volta che lo Stato (ma non solo, c’entra anche la tensione della società civile) hanno allentato la presa, più o meno consapevolmente, i poteri criminali ne hanno approfittato per assestare colpi che poi abbiamo scontato per anni.
Persi tra le sceneggiate popolari e populiste di queste settimane “l’affare Cantone” (con la sciagurata seduta del Consiglio dei Ministri da cui l’ANAC è uscita depotenziata) è stato messo nel cassetto delle ripicche come se non fosse il grave segnale che invece è: che sia stato per uno sgambetto (di Renzi o a Renzi) o per altro si tratta comunque di un attacco frontale (e pubblico) all’efficienza anticorruttiva dell’azione di governo.
Ieri Cantone, ospite di Giovanni Minoli, sulla nuova legge per gli appalti all’inizio è stata fatta “una rivoluzione copernicana” solo che poi “si è fatta retromarcia su molte cose e non si è data la possibilità di attuare il codice. Credo – ha detto Raffaele Cantone – che fosse una buona riforma e il fatto di andare avanti e indietro è un classico del nostro Paese. E ci sono tante opere incompiute. Il problema vero è che qualcuno ha pensato che bisogna consentire di realizzare opere pubbliche per smuovere l’economia ma non perchè servano davvero. E non smuovono nulla”.
In un Paese normale e responsabile, capace di riconoscere e rispettare le priorità, una dichiarazione del genere provocherebbe un terremoto politico, una sollevazione popolare e un unanime coro dalle associazioni impegnate nell’azione antimafia.
E invece niente.
Buon lunedì.