Dal People's Party all'elezione di Donald Trump, dalla Brexit alla Francia di Marine Le Pen, ecco le caratteristiche dei populismi spiegati da Marco Revelli, autore del libro "Populismo 2.0". In Italia ne abbiamo tre di leader populisti: Berlusconi, Grillo e Renz.

“Il termine populismo dice tutto e dice niente. E’ un gravissimo errore trattare il populismo come se fosse una forma politica tradizionale, un ismo come erano gli ismi novecenteschi, il comunismo, il socialismo, il fascismo e così via, cioè una forma politica strutturata in movimento o partito con una identità di cultura politica stabile. Non è questo. E’ uno stile, un atteggiamento, un mood, rispetto al quale pensare di confrontarsi da partito a partito o da soggetto politico a soggetto politico, non fa altro che portare acqua al populismo. E’ uno stato d’animo, un mood”. A parlare è Marco Revelli, docente di Scienza della politica all’Università del Piemonte orientale e autore per Feltrinelli del saggio Populismo2.0. Si tratta di un’analisi che ricostruisce le radici dei populismi dal People’s party americano di fine Ottocento a Trump passando per la Brexit e arrivando alle ultime elezioni francesi, con Marine Le Pen e Emmanuel Macron che si sfideranno al ballottaggio del 7 maggio e che Revelli definisce due populisti, anche se in forme diverse. L’assenza della politica e della sinistra in modo particolare oggi è all’origine di tutti i tipi di populismi. La sinistra che ha voltato le spalle ai diritti delle classi più disagiate.
Venendo all’Italia e ai suoi tre populismi, quello televisivo di Berlusconi, quello della rete di Grillo e quello della rottamazione di Renzi, hanno contribuito a distruggere i partiti o sono i partiti che si sono suicidati e hanno permesso la formazione di questi populismi?
L’Italia in questa luce non appare una ritardaria, anzi è una precorritrice. Noi abbiamo avuto non un solo populismo – nel senso di populismo 2.0 come abbiamo detto – ma ben tre. L’inventore precoce è Berlusconi. Il suo è un perfetto stile neopopulista, con il suo linguaggio politico in cui metteva la sua intimità, con una comunicazione da bar sport. Il suo era un populismo da tempi ancora del benessere, da edonismo reganiano, con il suo baricentro nell’uso della televisione, allora mezzo potentissimo. Poi è venuto il grillismo prima ancora dei 5 stelle, un cyberpopulismo per l’uso che ha fatto della rete. Ma Grillo, come ha fatto notare Carlo Freccero sa ricombinare tutti i media, anche la televisione. E poi usa la piazza, il corpo, pensiamo solo alla nuotata nello stretto di Messina. L’ultimo è il populismo più subdolo, e assai antipatico, di Renzi. Subdolo perché si esprime in alto, è un populismo di governo che mima lo stile di chi rivendica le ragioni del basso. Ed è quello della rottamazione, in questo simile a Salvini con le immagini delle ruspe, il nuovo che seppellisce il vecchio.

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