Emmanuel Macron sembra intenzionato a demolire il quadro politico francese tradizionale. A partire dal Partito socialista. O almeno questo è quanto fa intendere il primo elenco di candidati alle elezioni legislative del prossimo giugno a cui il suo movimento En Marche, si presenta per la prima volta. Al neo-eletto presidente francese serve una maggioranza o almeno un’Assemblea legislativa non ostile e, per ottenerla, ha pensato di imbarcare una serie di figure di primo piano provenienti dalle fila del partito di Valls e da quello di Fillon, e compatibili con le sue idee politiche. Con altri l’idea sembra di attuare la desistenza, non presentando candidati in collegi chiave.
L’elenco presentato giovedì – e già cambiato dopo una serie di smentite – non è ancora completo: per adesso ci sono 428 candidati per 577 circoscrizioni, metà dei quali sono donne, altrettanti provengono dalla società civile e non hanno mai avuto cariche elettive. Tra i non politici ci sono giudici, matematici di grido e anche una torera a cavallo – nella circoscrizione del Gard, estremo Sud, dove dovrà vedersela con l’eletto del Front National.
Poi ci sono i pezzi grossi socialisti tra cui spiccano la ministra del Lavoro Myriam El Khomri, famosa per la Loi Travail che Macron pensa di riproporre in forma nuova e non particolarmente popolare tra i suoi, una parte di deputati alleati di Hollande e Gaspard Gantzer, il comunicatore del presidente socialista e collega di Macron all’ENA, l’Ècole National d’Administration dove si forma la classe dirigente francese. Quasi tutti avevano offerto il loro sostegno a Macron prima della vittoria. Poi tre deputati uscenti ecologisti e, sul fronte repubblicano, figure importanti come Bruno La Maire, ex ministro negli anni di Sarkozy e figura moderno-tecnocrate-europeista del suo ex partito. Protestano i MoDem di Francois Bayrou, che hanno sostenuto Macron e saranno alleati alle prossime elezioni e che dicono di aver avuto un accordo per una quota percentuale che En Marche non avrebbe rispettato. Una protesta che forse consentirà di ottenere qualche posto in più ma fatta, al momento, da una posizione di debolezza.
Poi ci sono le non candidature, ad esempio nel collegio del premier uscente Manuel Valls, che si era auto-candidato con En Marche, era stato bocciato (ha già fatto tre mandati e questo è un criterio per il movimento di Macron), espulso dal PS e oggi si trova a essere lasciato in pace nel suo collegio.
Nel complesso il disegno di Macron è chiaro: eleggere una serie di figure non politiche che non hanno una base e una autonomia reale, ma portano aria fresca e hanno un appeal indiscutibile, e poi demolire quelle parti dei partiti al suo fianco (socialisti e repubblicani) in un’ottica che probabilmente potrebbe portare a un’alleanza con i Republicains. Obiettivo è essere il centro, non solo in senso di collocazione, del quadro politico francese. I due partiti sono in chiara difficoltà, i socialisti, che hanno ottenuto il peggior risultato possibile, più del partito di centrodestra.
Il trionfatore della corsa a sinistra, Jean-Luc Mélenchon, da par suo, non sembra intenzionato a raccogliere gli appelli di Benoit Hamon e punta a misurare il suo risultato personale alle presidenziali anche nell’urna delle legislative. Il candidato della France Insoumise si candida a Marsiglia in un collegio tenuto dai socialisti: «Non vengo per competere con il PS, vengo per sostituirlo» ha detto. L’intento di contribuire alla fine del suo ex partito è dunque dichiarato, ma nel frattempo c’è difficoltà ad aggregare una forza di sinistra: a livello nazionale i colloqui con il Pcf per costruire un movimento unico o per presentare candidati comuni sono sospesi. Mélenchon, come Macron più a destra , ha le carte buone, ma con il meccanismo del doppio turno e il quadro politico sconnesso, probabilmente gli converrebbe fare accordi invece di essere troppo arrogante. Quanto a Benoit Hamon, il candidato socialista è convinto che il suo cattivo risultato sia relativo – molti avrebbero votato Macron come voto utile anche al primo turno – e si prepara con gli ecologisti e pezzi dei socialisti a lanciare un movimento che si collochi tra Marcon e Mélenchon. All’estrema destra si segnala l’abbandono della politica da parte di Marion Marechal Le Pen, ala dura e tradizionalista del partito e la dichiarazione dell’attuale numero due, il modernizzatore anti-Europa Florian Philippot: se si abbandona la posizione sull’uscita dal’euro, lascio il Front National. In un quadro tanto confuso e in movimento, Macron ha qualche possibilità di raccogliere i cocci di tutti e di riuscire nel suo intento di restituire centralità alla presidenza. Il suo appeal è anche legato alla possibilità di convincere gli elettori a votare En Marche per rafforzarne la presidenza. Con l’avvertenza che lo schieramento di Mélenchon e il Front National hanno le loro carte da giocare.
I sondaggi, ma probabilmente sono ancora da prendere molto con le molle, dicono: EnMarche-MoDem 29%, Republicains/UDI 20%, seguono il Front National al 20% e la France Insoumise al 14%, i socialisti al 7%, gli Ecologisti al 3% e i comunisti al 2%.