“Identità personale e diritto all’oblio (ex Carta di Milano)”, il titolo dell’incontro nell’aula consiliare dell’ex provincia regionale ad Agrigento. Un corso di aggiornamento per giornalisti che avrebbe dovuto affilare gli strumenti professionali di una categoria ultimamente piuttosto bistrattata.
Accanto ai relatori i giornalisti che partecipavano al convegno si sono trovati anche lui, Totò Cuffaro. Sì, proprio lui, Totò Cuffaro, l’ex governatore della Sicilia condannato per mafia nell’ambito dell’inchiesta “Talpe alla Dda”. Quello stesso Totò Cuffaro che avvisava i mafiosi di essere intercettati e che eletto per essere “argine” ha preferito essere “scivolo” di Cosa Nostra.
Al suo fianco c’era il moderatore dell’incontro, Stelio Zaccaria, il caporedattore della redazione di Agrigento de “La Sicilia”, alla sua destra l’avvocato Salvatore Pennica, la giornalista Teresa Di Fresco, vicepresidente dell’ordine dei giornalisti di Sicilia, e Michelangelo Capitano, il direttore dell’istituto di pena minorile “Malaspina” di Palermo.
Quando Cuffaro ha preso la parola un giornalista (solo uno, uno solo) si è alzato e se n’è andato. Solo dopo il caso è diventato un caso. In questo Paese la meritocrazia è buona solo per la propaganda elettorale; poi ci si ritrova sempre la stessa schiera di falliti, colpevoli o condannati che chissà perché ci fanno pure la morale.
Il Presidente dell’Ordine dei giornalisti siciliani si è difeso dicendo che “Salvatore Cuffaro ha solo portato la sua testimonianza sul carcere a un corso di giornalisti sulla carta deontologica che riguarda le persone detenute, la Carta di Milano, non era relatore e non era invitato. Si è seduto occasionalmente al tavolo dei relatori per parlare della sua esperienza di detenuto e su come la gente detenuta vive il rapporto con gli organi di informazione”.
Si è imbucato alla festa, insomma. Solo che dopo essersi imbucato ha scelto la musica del ballo.
Avanti così.
Buon lunedì.